1. Presidenza e Guida Suprema: il delicato equilibrio del potere in Iran.
L’incidente in volo, che nel maggio del 2024, ha causato la morte del Presidente Iraniano Ebrahim Raisi, ha imposto che si celebrassero le elezioni presidenziali anticipate. L’appuntamento elettorale è arrivato dopo circa due anni dall’inizio delle diffuse proteste delle donne iraniane contro le rigide regole imposte nel Paese e che limitano le libertà civili. Prima di riferire sulle recenti elezioni è opportuno fare alcuni cenni all’impianto istituzionale iraniano fondato su una forte interconnessione tra politica e religione. Gli organi della Repubblica islamica sono: l’Assemblea degli esperti (formata da ottantotto chierici); La Guida suprema (eletta dall’Assemblea degli esperti); Il Consiglio dei guardiani (formato da sei chierici e sei giuristi); Il Parlamento (formato da duecentonovanta membri); Il Consiglio per il discernimento (formato da trentanove membri); Il Presidente della Repubblica islamica (che svolge le funzioni di capo del Governo). Il filo rosso che lega questi organi, in cui si decide la vita politica e religiosa del Paese, è la forte interconnessione tra credo religioso e potere politico. La Costituzione attribuisce, difatti, un ruolo di primaria importanza alla Guida suprema e al Consiglio dei guardiani. È significativa la circostanza che i candidati al Parlamento e al ruolo di Presidente devono essere ritenuti idonei alla candidatura da parte del Consiglio dei guardiani, così com’è sancito dall’art. 100 della Costituzione. La Guida suprema è, insieme al Presidente della Repubblica, la carica più importante della Repubblica islamica. Le sue competenze sono state ampliate dopo la riforma costituzionale del 1989 e oggi le sue tante prerogative sono previste dall’art. 110 Costituzione. Tra queste c’è quella di nominare direttamente i sei teologici membri del Consiglio dei guardiani e indirettamente i sei giuristi che completano la composizione del Consiglio.
Il Presidente della Repubblica islamica è scelto attraverso un’elezione diretta da parte dei cittadini e per un mandato di quattro anni. Come già accennato, la lista dei candidati viene revisionata dal Consiglio dei Guardiani, che gode del potere della “supervisione approvativa”, attraverso l’Agenzia per il Monitoraggio delle Elezioni (EMA). I requisiti che devono avere i candidati riguardano, tra gli altri, la coerenza tra il proprio comportamento e gli insegnamenti religiosi. L’art. 115 Cost. stabilisce che il Presidente venga eletto fra le personalità di rilievo in campo religioso e politico che siano in possesso dei requisiti di «(…) capacità direttive testimoniate da precedenti esperienze, affidabilità e virtù, lealtà nei confronti dei princìpi della Repubblica Islamica dell’Iran e della religione dello Stato». Il compito di verificare la moralità dei candidati è attribuito al Consiglio dei guardiani ed è strettamente connessa al ruolo di garantire la coerenza delle leggi alla shari'a islamica. La Costituzione iraniana prevede che per l’elezione del Presidente della Repubblica islamica è necessaria una maggioranza assoluta, e nel caso in cui alla prima votazione non venga raggiunta alcuna maggioranza si deve procedere al turno di ballottaggio tra i due candidati più votati. Il Presidente che ha ricevuto il maggior numero di voti una volta eletto deve ottenere la fiducia del Parlamento.
2. La protesta silenziosa e il voto presidenziale in Iran, letti attraverso la chiave di lettura delle necessarie relazioni diplomatiche, alla ricerca di una pacificazione del Medio Oriente.
Il 28 giugno 2024 si è celebrato, tra sei candidati di altrettanti movimenti politici, il primo turno delle elezioni presidenziali iraniane. I più votati sono stati Masoud Pazeshkian (44,49 %) e Said Jalili (40,38 %). Al secondo turno il Presidente Pezeshkian, con una coalizione di riformisti moderati, ha ottenuto il 53,6% dei voti, contro il 44,3% del suo avversario.
La candidatura di Masoud Pazeshkian, tra quelle approvate dal Consiglio dei Guardiani per le elezioni presidenziali, può essere collocata nell’ambito delle posizioni politiche moderate. La scelta, da parte dell’elettorato iraniano, di premiare un candidato con un orientamento moderato nei confronti delle relazioni diplomatiche internazionali, costituisce il segnale di come i cittadini utilizzino il limitato diritto di voto come strumento per esprimere una posizione critica nei confronti del regime. Seppure in un contesto di limitate libertà l’esito del voto assume un valore simbolico. Difatti, il segnale di un profondo malcontento della popolazione nei confronti del regime può essere dedotto dalla vittoria del candidato moderato e dalla bassa affluenza che nelle ultime tornate elettorali ha caratterizzato il voto iraniano. Quest’ultimo dato non può essere letto solo come un disinteresse verso l’appuntamento elettorale, ma sempre più come una scelta politica di sfiducia rispetto ai limiti imposti al procedimento democratico da parte del regime. La scarsa partecipazione al voto e le diffuse proteste che negli ultimi anni hanno caratterizzato l’Iran dimostrano la sfiducia diffusa verso le istituzioni del Paese che appaiono percepite come strumenti di un sistema autoritario che reprime le libertà fondamentali e ignora le istanze della società civile. La dimostrazione di una lettura di questo tipo è avvalorata anche dalle dichiarazioni del Ministro degli Esteri israeliano, un Paese in pieno conflitto con l’Iran che ha affermato «il popolo iraniano ha inviato un chiaro messaggio di richiesta di cambiamento e di opposizione al regime degli Ayatollay». La lettura che può essere data della situazione appena descritta è quella di una forte istanza da parte dei cittadini di contrapporsi al regime e che la comunità internazionale dovrebbe considerare come un’opportunità per adottare una politica nei confronti dell’Iran che possa prediligere il confronto diplomatico alla contrapposizione armata.
In questa sede è opportuno effettuare alcune considerazioni sulla recente elezione del Presidente della repubblica islamica d’Iran utilizzando la chiave di lettura della politica estera italiana. La situazione attuale del Medio Oriente è caratterizzata da forti tensioni dove l’Italia ha un ruolo diplomatico non secondario. Non si può, infatti, trascurare, tra le altre azioni, la presenza delle Forze armate italiane in Libano (con il contingente Unifil) al fine di scongiurare l’acuirsi del conflitto tra Israele e le forze di Hezbollah strette alleate - quasi un appendice - dell’Iran.
La premessa è quella descritta, cioè di un regime che, attraverso l’impianto costituzionale, comprime le libertà e non garantisce i principi democratici; di contro una porzione significativa della popolazione che non perde occasione di dimostrare la propria avversità al regime. In questa prospettiva le relazioni diplomatiche italiane non possono che partire dal principio pacifista della Costituzione. In quest’ottica sarebbe auspicabile che le dinamiche che hanno portato all’elezione del Presidente della Repubblica islamica d’Iran possano rappresentare l’occasione per valutare a fondo le strategie nei confronti di questo Paese. Per un verso è necessario mantenere una linea chiara di condanna e di pressione attraverso sanzioni mirate contro le azioni belliche e le violazioni dei diritti umani perpetuate dal regime. Allo stesso tempo, il risultato elettorale del 2024, impone una lettura secondo un orientamento costituzionale dei fatti avvenuti in Iran e dunque è altrettanto importante riuscire a mettere in campo azioni diplomatiche che riescano ad agevolare il pensiero critico che il popolo ha dimostrato avere nei confronti del regime. Così come per altre situazioni simili, ad esempio quello Russo, mantenere un dialogo diretto con la società civile iraniana, attraverso i confronti culturali, come nel caso degli scambi tra studiosi delle Università, o la possibilità di mantenere attivi i canali di conoscenza reciproca (turismo e commercio) è utile a sostenere attivamente i movimenti per la democrazia ed i diritti umani, così da agevolare quel cambiamento positivo tanto auspicato. Una politica estera, pienamente conforme ai principi dell’art. 10 e 11 della Costituzione italiana, gioverebbe anche a delegittimare, ulteriormente, le politiche antidemocratiche del regime agli occhi della sua popolazione e dimostrerebbe la volontà della comunità internazionale di essere un alleato del popolo e non solo un oppositore del governo. Difatti, pur nella consapevolezza che il voto del 2024 può essere annoverato nella direzione di una presa di posizione rispetto alla volontà di cambiamento non si può sottacere, come già illustrato, che la Costituzione iraniana pone dei limiti ai poteri del Presidente iraniano, soprattutto rispetto ad uno stretto controllo e ad un condizionamento da parte dell’ayatollah Ali Khamenei, attualmente Guida Suprema e capo di Stato. Già dalle prime esternazioni, che emergono sulla stampa estera, si può registrare come proprio il Presidente Pezeshkian stia svolgendo una funzione di mediazione in ordine alle decisioni in campo sociale, culturale e diplomatico rispetto alle posizioni, certamente più oltranziste, della guida suprema o del presidente del Parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf. Le elezioni del 2024 rappresentano, dunque, l’occasione per investire nel rapporto diplomatico con il popolo iraniano che vuol dire costruire una base solida per eventuali future transizioni democratiche.