Le elezioni europee del giugno 2024 hanno visto la nascita di un nuovo capitolo nella disciplina relativa all’uso degli pseudonimi da parte dei candidati inseriti nelle liste elettorali. All’interno di un quadro assai variegato, con decine di pseudonimi registrati[1], spiccano quelli di due leader di partito: “Elena Ethel Schlein, detta Elly” e “Giorgia Meloni, detta Giorgia”; tra questi, in particolare il caso della Presidente del Consiglio ha destato qualche perplessità.
Con riferimento alla disciplina in esame, un primo necessario riferimento è quello alla legge n. 18/1979, che regola le elezioni europee; il testo in parola, tuttavia, non definisce la modalità di presentazione delle candidature o di espressione delle preferenze, rinviando al Testo unico per l’elezione della Camera (d.P.R. n. 361/1957). L’articolo 18-bis, comma 2-bis, del DPR afferma che per ogni candidato “devono essere indicati il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, il codice fiscale”, senza dunque affermare nulla in termini di pseudonimi[2]. Quanto all’espressione del voto, l’articolo 69 del medesimo regolamento afferma che “la validità dei voti contenuti nella scheda deve essere ammessa ogniqualvolta possa desumersi la volontà effettiva dell’elettore”, salvo che si possa ritenere che lo stesso elettore abbia voluto far riconoscere il suo voto.
Proprio sulla base di quest’ultimo assunto si è sviluppata una prassi ormai consolidata di inserimento di pseudonimi e soprannomi all’interno delle liste elettorali, in parte avallate da alcune sentenze del giudice amministrativo. La sentenza più spesso citata[3], sul punto, è quella del Consiglio di Stato (V sezione, n. 198/2007) [4], che ha ritenuto valido il voto di preferenza indicato sulla scheda con il solo nome “Anna”, attribuito ad una candidata presentata in lista come “Anna Antonia [cognome] detta Anna”. Il giudice amministrativo ha ritenuto valido il voto espresso in questo modo, in considerazione del fatto che lo pseudonimo era stato chiaramente indicato nella lista e nel materiale elettorale, ma anche del fatto che nessun altro candidato in lista presentasse il medesimo nome proprio. Pertanto, sulla base anche di questa sentenza, si è ammesso che l’elettore possa esprimere una preferenza anche utilizzando espressioni identificative quali diminutivi o soprannomi, se inserite preventivamente nelle liste elettorali. Le sentenze amministrative più recenti sembrano inserirsi nella medesima direzione interpretativa. La sentenza n. 1602/2017 del Tar Catanzaro, sul punto, ha confermato che “con riferimento all’indicazione del solo nome, (…) l’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa è nel senso di consentire anche l’attribuzione del voto in caso di utilizzo del soprannome, purché tale utilizzo consenta di identificare il soggetto di riferimento”. La necessità di identificare in maniera univoca e certa l’espressione della preferenza è il principio maggiormente valorizzato in sede di giurisprudenza amministrativa, come chiarito anche dalla recente sentenza n. 2/2023 del Tar Molise, che ha disposto l’annullamento di una scheda recante una preferenza con un nome proprio, mentre l’unico candidato con quel nome risultava candidato nell’altra lista elettorale; dunque, sarebbe stato impossibile desumere la volontà effettiva dell’elettore.
Nel corso degli ultimi anni, anche in conseguenza di una giurisprudenza tendenzialmente permissiva, si sono verificati moltissimi casi di utilizzo dello pseudonimo, in tutte le competizioni elettorali. Il fenomeno non è tuttavia del tutto omogeneo: analizzando l’ampia casistica disponibile si possono distinguere almeno 3 differenti categorie di pseudonimi; proprio da questo punto di vista le elezioni europee del 2024 sono particolari, in quanto è possibile forse identificane una quarta.
La prima è quella dei candidati effettivamente conosciuti con un nome differente da quello reale (i più noti “Giacinto Pannella detto Marco” e “Letizia Maria Brichetto Arnaboldi detta Letizia Moratti”), o noti con solo uno dei due nomi propri (es. “Manfredi Maria Granese detto Manfredi”).
La seconda riguarda i candidati il cui nome potrebbe risultare difficile da scrivere correttamente per l’elettore, in ragione di possibili incertezze grammaticali (“Mario D’Ambrosio detto Dambrosio”) o perché oggettivamente particolarmente complesso (“Suad Omar Sheikh Esahaq detta Su”).
La terza, più critica, riguarda i casi in cui la disciplina dello pseudonimo sia stata utilizzata per conseguire meri vantaggi elettorali, sfruttando la possibile confusione dell’elettore (“Franco Deiana detto Sgarbi”, appartenente alla lista “Rinascimento Sgarbi – Cambiamo Roma”, in modo da farsi assegnare i voti degli elettori che avessero erroneamente assegnato la preferenza al più noto Vittorio Sgarbi) o a fini ironico/irriverenti (“Giuseppe Cirillo detto Dr. Seduction”).
Le liste elettorali per le elezioni europee del 2024 hanno visto verificarsi tutti questi casi, salvo, fortunatamente, quello degli pseudonimi strumentali (borderline, a parere di chi scrive, il caso di “Edmondo Tamajo detto Tamaio detto Di Maio detto Edy detto Edi detto Eddy”). La peculiarità dell’ultima tornata elettorale europea ha riguardato proprio il caso di Giorgia Meloni, “detta Giorgia”[5], che non rientra, in effetti, in nessuno dei casi “tipici” di utilizzo dello pseudonimo.
L’interpretazione più diffusa -e a parere di chi scrive, più convincente - di questa scelta è quella che porta ad un ulteriore accentramento e personalizzazione della dialettica politica nel contesto elettorale, non sembrando realistico immaginare che il cognome “Meloni” fosse considerato poco noto o troppo complesso per la corretta espressione della preferenza. D’altra parte, le stesse dichiarazioni del leader di Fratelli d’Italia del 28 aprile 2024 alla conferenza programmatica del partito sembrano andare in questa direzione: “Chiedo agli italiani di scrivere il mio nome, ma il mio nome di battesimo. […] Però quello che non hanno mai capito è che io sono stata sempre, sono e sarò sempre fiera di essere una persona del popolo […]. Se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe che lo faceste scrivendo sulla scheda semplicemente “Giorgia” […]”[6].
Dal punto di vista della legittimità della scelta operata si può ritenere relativamente pacifico che, nel panorama di legislativo -scarso-, giurisprudenziale -limitato- e delle numerose prassi e precedenti che si sono verificate in materia di pseudonimi, questa risulti del tutto ammissibile. In particolare, non sembra che l’equivalenza tra nome proprio e pseudonimo possa comportare violazioni dei principi in materia di presentazione dei nomi dei candidati in lista e dell’espressione della preferenza da parte degli elettori, salvo per un singolo aspetto, puntualmente evidenziato da Gaetano Azzariti[7]: per evitare possibili dubbi circa l’inequivocabile volontà dell’elettore di esprimere la preferenza per “Giorgia Meloni” è stato necessario che all’interno di alcuna delle liste di Fratelli d’Italia nelle cinque circoscrizioni non vi fossero candidate chiamate ugualmente “Giorgia”. In tal caso, infatti, sarebbe stato possibile, probabilmente, far venire meno la certezza dell’univocità del voto di preferenza, con possibile violazione del principio, espresso dal già richiamato art. 69 del d.P.R. n. 361/1957, per cui la validità dei voti espressi dipende in primis dalla possibilità di desumere in modo certo la volontà effettiva dell’elettore. In conclusione, dunque, si tratta di un precedente legittimo, che tuttavia determina, a livello politico, un ostacolo, in fase di formazione delle liste, per le altre possibili candidate del medesimo partito chiamate ugualmente “Giorgia”.
Dal punto di vista dell’opportunità, d’altro canto, sono state numerose le voci -anche accademiche[8]- che hanno valutato in maniera critica questo precedente, affermandone il carattere evidentemente populista ed individuandolo come l’ultimo di una serie di elementi che portano verso la leaderizzazione della politica. Per quanto qui di interesse, tuttavia, rileva la legittimità formale della scelta operata dalla Presidente del Consiglio, che non appare, peraltro, lesiva della correttezza[9] o di una presunta sacralità del momento elettorale (a differenza, ad esempio, dei casi di uso strumentale dello pseudonimo, già verificatisi in passato).
[1] Un elenco è disponibile all’indirizzo: Elezioni europee 2024, tutti i «detto» oltre a Giorgia (Meloni): ecco chi potrà essere votato con il soprannome da Ultimo a Pavone
[2] Istruzioni per la presentazione e l’ammissione delle candidature, predisposte dalla Direzione centrale per i servizi elettorali, aggiungono che “Per le candidate coniugate o vedove può essere aggiunto il cognome del marito”.
[3] Il cui riferimento è richiamato esplicitamente nelle Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione, predisposte dal Ministero dell’Interno, tanto nell’ultima edizione per le elezioni europee (2019) quanto in quella più recente per le elezioni comunali (2023)
[4] Consiglio di Stato, V Sezione, 23 gennaio 2007, n. 198.
[5] In effetti non si tratta dell’unico caso di questo genere: nella medesima elezione, nelle liste di Forza Italia, si è registrata la candidatura di “Fulvio Martusciello detto Fulvio”
[6] Video disponibile sulla pagina youtube di Giorgia Meloni https://www.youtube.com/watch?v=75eEFK7xviA
[7] La dichiarazione, in tono politico, è riportata in Giorgia Meloni può farsi votare usando solo il nome? | Wired Italia
[8] Si vedano le opinioni espresse da Mauro Volpi (riportate in: Giorgia Meloni può farsi votare usando solo il nome? | Wired Italia) e Pier Francesco Raniolo (in Elezioni Europee, il boom del nome e del «detta»... che personalizza la politica - Panorama)
[9] Se si vuole, ben più problematica è risultata la scelta, operata da numerosi leader di partito, di presentare la propria candidatura come capolista senza avere alcuna intenzione di assumere l’incarico di parlamentare europeo, di cui si è dato conto in LINK alla cronaca del n.0 dell’osservatorio