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NUMERO 1 - 09/01/2019

In margine a due recenti volumi sulla democrazia

Dall’America all’Europa, dall’Asia all’Australia si sono sfaldate, nel giro di qualche decennio, forme di governo che parevano non avere alternative, perché sembravano garantire, ad un tempo, l’affermazione della volontà popolare e la garanzia dei diritti individuali. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la democrazia liberale, che aveva già attecchito in Nord America e nell’Europa occidentale, è divenuta rapidamente la forma di governo prevalente, estendendosi in fretta anche nei Paesi   dell’Europa orientale e del Sud America. Pertanto oggi non si può non rimanere impressionati dal declino di quella stessa forma di governo, tantopiù che essa, sino agli anni Ottanta del Secolo scorso, veniva indicata dagli analisti politici come irreversibile: negli Stati Uniti è stato eletto un Presidente che disprezza apertamente norme costituzionali  da sempre considerate a base del sistema; in Russia e Turchia i leader politici sono riusciti a trasformare fragili democrazie in dittature “elettive”; in Polonia ed Ungheria è in atto una sistematica aggressione alle istituzioni indipendenti finalizzata a neutralizzare l’opposizione; in Francia un’ondata popolare assai aggressiva sta mettendo seriamente in discussione le politiche “tecnocratiche” di un Presidente che sino ad un anno fa aveva un gradimento popolare che si stimava al 60%; in Spagna e in Grecia si sta dissolvendo in maniera impressionante il consolidato sistema dei partiti; in Germania, Austria e nei Paesi Bassi gli estremisti hanno riscosso successi senza precedenti. Le vicende di casa nostra sono sotto gli occhi di tutti. Indipendentemente dal giudizio (positivo o negativo) sull’azione di governo, è indubbio che l’inedita maggioranza che guida il Paese è animata da ideologie finalizzate a ribaltare il sistema, non semplicemente a succedere ai governi precedenti. Si tratta peraltro di trasformazioni sospinte fortemente dalle scelte popolari. Quegli stessi elettori che sino ad un quarto di secolo fa sembravano soddisfatti delle istituzioni del loro Paese, che erano fieri di vivere in sistemi democratici e che non avrebbero voluto alternative autoritarie, oggi paiono sempre più ostili alla democrazia e preferiscono candidati che contestano apertamente le regole e le istituzioni della democrazia stessa. Insomma, il vero grande assunto del dopoguerra - e cioè che elezioni libere avrebbero consegnato alla democrazia Paesi sino a quel momento tormentati da diverse vicende e che quella democrazia sarebbe rimasta stabile nel tempo - si sta rivelando errato. Ci sono parecchie prospettive da cui osservare questi fenomeni. Due recenti volumi (Yascha Mounk, Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Milano, Feltrinelli, 2018 e Jason Brennan, Contro la democrazia, Luiss, University Press, 2018) lo fanno con strumenti di analisi e soluzioni assai diverse, non riproponendo le solite petizioni di principio sulla bontà della democrazia, ma sottoponendo a duro giudizio a volte filosofico, a volte storico, a volte politologico, il sistema democratico… (segue)



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