Il fenomeno della “riespansione islamica” è destinato a interessare, con crescente intensità, anche la comunità dei giuristi, dopo avere interessato, specialmente a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001, i sociologi, gli storici e i politologi. Quella riespansione costituisce, innanzitutto, un fenomeno demografico: secondo un rapporto del Pew Research Center (www.pewforum.org/2015/04/02/religious-projections 2010-2050), il numero delle persone che si autodefiniscono “musulmani”, nei prossimi 35 anni, crescerà a un tasso del 73%. L’Islam, dunque, anche per effetto dell’ingrossamento e della moltiplicazione dei flussi migratori, sembrerebbe destinato a diventare la prima religione in diverse metropoli occidentali. Le ricadute culturali di questo processo demografico risultano ovvie agli occhi di chi abbia una minima conoscenza della storia islamica o abbia esperienze di rapporti istituzionali con le comunità musulmane. Siamo di fronte non solo a una religione, ma a una civiltà, dotata di una propria filosofia di organizzazione dello spazio pubblico e di una costitutiva vis espansiva (v., ad esempio, A. Cilardo, Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano, Napoli, ESI, Napoli 2002 e S. Ferrari [a cura di], Musulmani in Italia, Bologna, Il Mulino, Bologna, 2000: due testi di cui ci permettiamo di auspicare una rapida rimessa in circolazione). Si può discutere finché si vuole sul fatto che “Islam” e “Occidente” siano due concetti molto astratti, con i quali si fa riferimento a realtà politiche e culturali estremamente complesse e variegate. Fatto sta che una parte non trascurabile della popolazione mondiale crede a questo dualismo e, senza curarsi eccessivamente del fatto che città come Vienna o Varsavia siano a est di Nouakchott o Algeri, utilizza l’espressione “Occidente” per indicare, nel suo complesso, la civiltà euro-americana, spesso in una chiave critica. Certamente, ci sono molti autorevoli intellettuali di origine musulmana che si battono per il superamento di quel dualismo e per una secolarizzazione del mondo islamico. Ma in genere queste battaglie riscuotono successo tra quanti già si siano collocati fuori di quella visione dualistica del mondo e della storia, mentre la stragrande maggioranza dei musulmani si pone in una chiave agonistica – e in qualche caso antagonistica e persino conflittuale – rispetto ai valori e alle istituzioni del mondo occidentale. Non è un fenomeno nuovo. Di nuovo, rispetto al passato, oltre al citato dato demografico, c’è la particolare criticità della geopolitica occidentale, segnata dall’esigenza di un ripensamento dell’ordine globale in una chiave “post-vestfaliana”, con un’articolazione di tipo regionale e un sistema di pesi e contrappesi distribuiti non più solo tra gli stati o i sistemi interstatuali, ma anche tra culture, popoli, comunità, etnie e religioni, come ci pare abbia, di recente, ampiamente dimostrato Henry Kissinger (World Order: Reflections on the Character of Nations and the Course of History, New York, The Penguin Press, 2014). A fronte di questa criticità, si riscontra, nel mondo islamico, e in particolare tra i giovani dell’Islam d’Occidente, una crescente rivalutazione del paradigma comunitario islamico. In particolare, le nuove generazioni avvertono in maniera sempre più debole il legame con le tradizioni nazionali dei padri e dei nonni e tendono a identificarsi con la ’umma globale, in una prospettiva trans e post-statuale (P. Mandaville, Transnational Muslim Politics. Reimaigining the umma, London & New York, Routlege, 2001). In questo milieu, si diffonde e rafforza la convinzione, anche con il supporto di studi e ricerche di indiscutibile valore scientifico, che i modelli politici europei e americani siano irrimediabilmente in crisi, non solo perché poveri o del tutto privi di fondamenti etici, ma anche perché non più in grado di garantire giustizia sociale e rappresentatività democratica... (segue)
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