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Il dibattito sul 1968, nel suo cinquantesimo anniversario, non sta spiccando in Italia per lampi di originalità. Tranne rare eccezioni, si limita finora a oscillare tra la pigra commemorazione e una nostalgica lucidata volta ad attenuare i segni dell’età su mitologie impolverate. Non si tratta di processare quell’anno ed emettere un verdetto: promosso o bocciato. La storia, il passato, quanto è già avvenuto hanno una propria immodificabile materialità. Tuttavia con la maturazione e le esperienze dovute allo scorrere del tempo, con il senno di poi, le società, oltre a studiarle, possono scegliere quali parti della storia considerare utili propellenti verso miglioramenti, perché contengono insegnamenti attuali, e quali zavorra da superare. Sarebbe il caso di sottoporre il 1968 a un trattamento del genere, senza nulla togliere alla piena legittimità di diversità di opinioni in materia. Questo Paese ha prima mitizzato e poi eccessivamente dissacrato la giusta e necessaria Resistenza al nazi-fascismo, senza la quale il nostro Paese avrebbe fatto più fatica a ricoprire un ruolo nella politica internazionale dopo essere entrato nella Seconda guerra mondiale dalla parte sbagliata. Opinionisti e senso comune hanno più tardi riesaminato criticamente le inchieste di Mani Pulite, dapprincipio applaudite e successivamente meglio percepite come conseguenze di corruzione e di ipocrisie della politica sui suoi finanziamenti che dettero spazio ad azioni di magistrati non tutte condotte con l’equilibrio dovuto. Sul 1968 no, l’ora del ripensamento non è finora arrivata. Talvolta viene descritto come una pietra miliare dell’evoluzione umana, come la scoperta della ruota, qualcosa che non merita riflessioni. Tutto invecchia. Al mito del 1968 sembra precluso invecchiare. Nella realtà quell’anno si distinse in Italia, Francia e in altri Paesi occidentali per l’eruzione di un insieme di energie che in precedenza erano compresse sotto la superficie delle società. In forma diversa domande di cambiamento emersero anche in almeno due Paesi della parte di mondo sottoposta all’influenza dall’Unione sovietica: Polonia e Cecoslovacchia. A Varsavia, al prezzo di cariche di polizia e arresti di certo più indiscriminati di quanto possano esserlo stati a Parigi, Roma e Milano nelle circostanze peggiori. A Praga le richieste di libertà e autonomia vennero soffocate dai carrarmati mandati dal Cremlino, proprio quello che, grazie alla libertà di pensiero, non avvenne nelle democrazie europee e negli Stati Uniti. A mezzo secolo di distanza è bene domandarsi: in Italia adesso esistono scorie che meritano di essere eliminate e derivano dalle pulsioni di ribellione provate allora nel nostro Paese da numerose persone?... (segue)
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