editoriale di Sandro Staiano
Le elezioni amministrative in corso, anche solo con riferimento alla prima fase che si è appena conclusa, consentono qualche considerazione “di sistema”, per l’alto numero di elettori chiamati in causa, per il coinvolgimento delle città maggiori, ma anche di città medie e piccole, e per la loro diversa collocazione territoriale. Dunque per la rimarchevole capacità di rivelare i processi in atto, senza far correre il rischio di eccessi di impressionismo. Soprattutto, nella contingenza che si è prodotta, per illuminare vividamente l’accentuato dinamismo degli equilibri politici.
Il nodo fondamentale è quello della tormentata stagione dei partiti italiani, sospinti da pressioni diverse, interne ed esterne a essi, esposti a scomporsi e a ricomporsi, a differenziarsi e a omologarsi, a riprodurre modelli e a distaccarsi da essi, tutto in tempi ravvicinati, in un andamento magmatico che non si arresta e non si consolida in sistema compiuto. La modalità di scelta delle candidature, le tensioni tra schieramenti e interne a ciascuno di essi durante la competizione elettorale, le vicende delle leadership che i risultati rivelano sono gli indicatori di tale stato delle cose.
Sul finire degli anni Novanta, ebbe una certa fortuna – poi perdurante – una ricostruzione del sistema politico fondata sul concetto di “partito personale”, di “partito nella forma del leader”, ricostruzione proposta osservando gli esiti della crisi del decennio, e incentrata sull’idea di una sorta di seconda modernità nell’organizzazione partitica. Le chiavi di volta di questo nuovo tipo di partito sarebbero il rapporto diretto del leader con l’opinione pubblica, attraverso il monopolio della comunicazione, e la coincidenza, nei casi di affermazione elettorale, tra leadership e premiership, tra dominio del partito e direzione accentrata e unidimensionale del Governo. Vi fu, intorno a questo approccio, un certo entusiasmo ideologico, alimentato dall’aspettativa del compiuto passaggio dall’autunno dei vecchi partiti, ipostasi resistenti corrotte e inefficienti, all’aurora dalle dita di rosa della Nuova Repubblica, i cui tratti erano già percepiti dall’opinione pubblica “a dispetto del dettato costituzionale” (variabile indipendente, e, in linea di tendenza, ininfluente). Il punto di debolezza di siffatto impianto concettuale era nella circostanza – non secondaria – di reggersi sulla percezione di epifenomeni, sulla lettura della cronaca politica di brevissima durata, e rinunciava a fornirsi di un adeguato fondamento empirico circa le connotazioni concrete che questo nuovo tipo di partito andava assumendo, circa la sua base di consenso, il suo insediamento, le ragioni e le possibilità della sua coesistenza con altri modelli di organizzazione partitica e il tipo di rapporto tra tali diverse forme.
E invece proprio in questi tratti – pretermessi – si rivelano i fenomeni dell’oggi.