editoriale di Sandro Staiano
Le recenti tornate elettorali in Italia, Germania, Francia e Grecia (amministrativa quella italiana, regionale quella tedesca, politiche negli altri due Paesi: una diversità che non le rende pienamente raffrontabili in ottica strettamente congiunturale, e che tuttavia non oscura rimarchevoli fattori strutturali comuni), possono (forse debbono) essere lette anche con riferimento al tempo, più lungo di quello contingente, in cui va collocato il rapporto tra sistemi politici e processo federativo europeo. I sistemi di partito, e con essi le forme di governo, sono sottoposte in Europa a sollecitazioni inedite: la causa primaria è nell’irrisolta doppiezza delle linee secondo le quali tale processo si è andato disponendo. All’origine v’era l’utopia dei “padri fondatori”: regolare i mercati, correggendone le dinamiche spontanee ove esse comportassero costi sociali troppo pesanti; lasciare che tali dinamiche si dispiegassero, ove potessero condurre a un’armonizzazione virtuosa. In questa logica, le politiche sociali, già in forza dell’originario art. 51 del Trattato, rimanevano nazionali; le differenze venivano accettate e presupposte, e coordinate solo per quanto necessario in un quadro in cui si voleva garantire la libertà di circolazione dei lavoratori e la libertà di stabilimento. Ne sarebbe derivata la naturale armonizzazione verso l’alto dei regimi di protezione sociale; e, nel processo di integrazione europea, sarebbe stato inserito... (segue)