editoriale di Giovanni Maria Flick
Il quadro normativo del finanziamento ai partiti pubblici è sconcertante nella sua genesi, frammentarietà e disorganicità: un singolare quanto evidente contrasto con l’asserita e conclamata esigenza di trasparenza, che manca totalmente a partire dalla stessa disciplina legislativa. A testimoniarlo, è sufficiente già il mancato adempimento all’obbligo (contenuto in una delega, nell’art. 8 della legge 157/1999) di redigere, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge, un Testo Unico compilativo in cui riunire e coordinare tutte le disposizioni legislative in materia di rimborsi delle spese elettorali e finanziamenti ai partiti e candidati; di agevolazioni a loro favore; di controlli e sanzioni. Un obbligo, questo, che viene puntualmente riprodotto nell’art. 15 del disegno di legge in materia, approvato dalla Camera dei deputati il 24 maggio 2012. Tra il 1999 ed oggi, invece del Testo Unico, è intervenuta una serie sconvolgente di miniriforme: prima sull’aumento, poi (da ultimo) sulla riduzione dei contributi; sulle modalità di computo del loro ammontare e della loro corresponsione; sul rapporto fra i contributi e la durata (virtuale e/o effettiva) della legislatura.