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FOCUS - Human rights N. 3 - 24/10/2014

 Fecondazione eterologa: spazi di incriminazione e valore del consenso nello schema dei diritti costituzionali di libertà.

Le contestazioni mosse contro la legge 19 febbraio 2004 n. 40 sono pressoché databili al suo nascere, quando cinque referendum abrogativi proponevano al corpo elettorale di pronunciarsi sul merito di molte scelte fatte dal legislatore, intendendo così contrapporre alla decisione del Parlamento una diversa scelta politica in materia di procreazione medicalmente assistita, ispirata alla più ampia libertà procreativa e alla piena libertà di scienza. La Corte costituzionale, com’è noto, aveva accolto solo i quesiti parziali, bocciando il referendum totale sulla base dell’assunto ribadito pure dalla sentenza di questi giorni: che la legge 40 fosse e sia una legge costituzionalmente necessaria, perché dettante «una prima legislazione organica», che assicura(va) «un livello minimo di tutela legislativa» a «una pluralità di rilevanti interessi costituzionali» (Corte cost., sent. n. 45/2005). L’ammissibilità dei referendum parziali era coerente con questa scelta: gli elettori potevano pronunciarsi solo su singoli punti della legge, tra i quali si calava il divieto di fecondazione eterologa (Corte cost., sent. nn. 46, 47, 48 e 49/2005). Dopo l’ondata astensionistica che ha travolto l’iniziativa referendaria, la legge n. 40 ha continuato ad essere investita da momenti (e tentativi) di vera e propria riscrittura nei punti più qualificanti per effetto di diverse pronunce giurisdizionali, alcune delle quali opera della Corte costituzionale. Con riferimento all’art. 4 della legge, due pronunce del Tribunale di Salerno (gennaio 2010 e luglio 2010) per la prima volta hanno ammesso alle tecniche di PMA coppie non sterili in senso tecnico; la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, caso Costa-Pavan v. Italia (agosto 2012) ha condannato l’Italia poiché il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto imposto alle coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili contrasta con l’art. 8 della CEDU; il Tribunale di Cagliari nel novembre 2012 ha accolto il ricorso di una coppia di coniugi portatori di malattia genetica che si erano visti negare l’accesso alle tecniche di diagnosi genetica preimpianto. Ancora con riguardo all’art. 4: con due ordinanze di rimessione (gennaio e febbraio 2014) il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma (art. 4) che vieta l’accesso alle tecniche di PMA alle coppie portatrici di malattie genetiche per contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, comma 1 Cost., in riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU. In riferimento all’art. 6, comma 3, il Tribunale di Firenze, nel dicembre 2012 ha sollevato questione di legittimità costituzionale del divieto assoluto di revoca del consenso alla PMA dopo l’avvenuta fecondazione dell'ovulo per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33 Cost. Davanti all’art. 13 il Tribunale di Firenze nel dicembre 2012 ha sollevato questione di legittimità costituzionale del divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale sull’embrione che non risulti finalizzata alla tutela dello stesso, per contrasto con gli artt. 9, 32, 33, comma 1, Cost. (inoltre, è stata sollevata questione di legittimità dei commi 1, 2 e 3 che per illogicità e irragionevolezza contrasterebbero con gli artt. 2, 3, 13, 31, 32, 33, comma 1, Cost.). Sui limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni – segnati all’art. 14 - è intervenuta la Corte costituzionale nel maggio 2009, ammettendo una deroga al principio generale di divieto di crioconservazione. La crioconservazione sarebbe infatti necessaria in tutti i casi in cui il medico ritenga che l’impianto possa non essere compatibile con la salute della donna: segnatamente, con sentenza n. 151/2009 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 14, limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» e del comma 3 nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute della donna. Infine, la Corte costituzionale nell’aprile 2014, con la sentenza 162/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita. Così, dopo la sent. n. 151/2009, la sent. n. 162/2014 costituisce l’ultimo precedente in ordine di tempo in tale materia. In entrambi i casi, la decisione di accoglimento si fonda non sulla violazione di diritti costituzionalmente garantiti, ma sull’irragionevolezza del bilanciamento legislativo degli interessi in gioco: in assenza di precise disposizioni costituzionali, la disciplina della procreazione medicalmente assistita e, della fecondazione eterologa in particolare, rientra nello spazio aperto della politica, nel quale il legislatore può compiere molteplici scelte, col solo limite della ragionevolezza. La stessa Corte costituzionale, infatti, aveva riconosciuto - e ora ripete - che la legge n. 40 introduce una «tutela minima» e, comunque, «non costituzionalmente vincolata» (cfr. sent. n. 45/2005, 162/2014)... (segue)

 



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