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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza Torreggiani, tra l’altro, si è soffermata sulla necessità che lo Stato Italiano organizzi “il suo sistema penitenziario in modo tale che la dignità dei detenuti sia rispettata”; sulla necessità che ai detenuti e agli internati sia offerta in una condizione di sovraffollamento, “una riparazione appropriata su scala nazionale”; sulla necessità che lo Stato consenta a “chiunque abbia subito una detenzione lesiva della propria dignità di ottenere una riparazione per la violazione subita” riparazione che deve essere, secondo la Corte, “diretta e appropriata e non semplicemente indiretta” e consistere “non solo o non esclusivamente in rimedi risarcitori” ma anche in “rimedi preventivi”; la Corte è perentoria, in particolare, nell’affermare, nella sentenza Torreggiani, che “le Autorità Nazionali devono creare senza indugio un ricorso o una combinazione di ricorsi che abbiano effetti preventivi e compensativi e garantiscano realmente una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia”. Con l’art.1 del Decreto Legge n.92/2014 (definitivamente approvato dal Parlamento) è stato introdotto nell’ordinamento penitenziario (L.n.354/1975) l’art.35 ter, in base al quale lo Stato Italiano ha dichiaratamente ottemperato alle indicazioni sopra riportate della sentenza Torreggiani. Secondo il disposto dell’art.35 ter della Legge n.354/1975 “quando il pregiudizio di cui all'articolo 69, comma 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio. Quando il periodo di pena ancora da espiare è tale da non consentire la detrazione dell'intera misura percentuale di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio”. La norma poi, occupandosi dei detenuti in attesa di giudizio, prosegue affermando che “coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1, in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono proporre azione, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio hanno la residenza. L'azione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che definisce il procedimento non è soggetto a reclamo. Il risarcimento del danno è liquidato nella misura prevista dal comma 2.».”... (segue)
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