
La Corte constata la violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza del ricorrente, cittadino turco impegnato nel suo Paese in campagne di promozione e di tutela dei diritti dell’uomo (come le manifestazioni di Gezi Park), per la sua prolungata detenzione preventiva non giustificata da ragionevoli sospetti in ordine a reati commessi, e senza un tempestivo esame da parte della Corte costituzionale a cui era stato sottoposto il caso (a causa dell’asserito sovraccarico dei ruoli giudiziari determinato dalla “situazione di emergenza” determinatasi in Turchia). La Corte ravvisa la violazione suddetta (art. 5.1 CEDU) unitamente all’ulteriore violazione del limite all’uso di restrizioni ai diritti (art. 18 CEDU), dal momento che le misure afflittive sono state adottate nei confronti del ricorrente nella sua qualità non di soggetto privato bensì di difensore dei diritti umani e di esponente di un’organizzazione non governativa, allo scopo “di ridurlo al silenzio” e di perseguire un effetto dissuasivo diretto a quanti volessero assumere o mantenere la medesima posizione di attivismo civile.
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