
Il diritto alla vita familiare della ricorrente, rifugiata di nazionalità somala e di religione islamica, è violato dal provvedimento con cui il figlio minore, prima posto in affidamento all’età di un anno stante la sua condizione di vulnerabilità e l’incapacità della madre di prendersene cura, è stato successivamente dato in adozione sulla base della valutazione del suo miglior interesse, senza considerare adeguatamente la compatibilità di tale misura a carattere definitivo con il mantenimento di contatti familiari tra la madre e il figlio, anche in relazione al comune patrimonio culturale e religioso.
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