editoriale di Annamaria Poggi
A partire dalla fine degli anni Ottanta alcuni tra i più importanti Paesi europei (tra cui Italia, Spagna, Francia, Germania, Gran Bretagna, Svizzera) varano significative riforme universitarie che presentano significative costanti che potremmo sinteticamente definire in due binomi:
autonomia della didattica e
accentramento della ricerca. Del resto ciò potrebbe apparire di per se intuitivo: la gestione e l’organizzazione rispettivamente della ricerca e della didattica richiedono “politiche” dimensionali diverse. La ricerca per divenire realmente competitiva esige una scala sovranazionale, mentre i mutamenti dell’attività didattica, pur sospinti da processi di rilievo sovranazionale, mantengono carattere nazionale. Tuttavia ciò che è più rilevante è che le trasformazioni nell’uno e nell’altro settore sono state innegabilmente indotte dall’esterno dei singoli Paesi, ovvero questi sono stati in qualche misura “obbligati” a mutare i propri assetti interni per effetto di trascinamento. Sia le riforme della didattica, sia quelle della ricerca, infatti, sono scaturite ovvero si sono rafforzate nell’intreccio diretto o indiretto con il processo di integrazione europea. Questo, infatti, ha generato una sorta di sotto-processo di integrazione sia delle politiche degli Stati nazionali, sia delle politiche delle Università che su tale terreno si è snodato sostanzialmente dal
Processo di Bologna (1999) alla Dichiarazione di Lisbona del 2007. Temporalmente esse hanno avuto momenti di sviluppo e di definizione diversi. Per prime si sono imposte all’attenzione le riforme dell’organizzazione interna che hanno introdotto modelli innegabilmente ispirati a quelli da tempo sperimentati nei Paesi anglosassoni con una serie di significative conseguenze: è aumentato notevolmente il livello di autonomia delle Università e si è trasformato, conseguentemente, il ruolo dello Stato (da regolatore a coordinatore e valutatore); negli organi di governo degli Atenei si sono introdotti membri “laici” (non accademici) che, in taluni casi, sono divenuti maggioranza; si è accentuato il ruolo di governo delle figure apicali dei diversi sottosistemi di cui lo stesso si compone. Quella che è stata giustamente definita “la riforma delle riforme” (e cioè l’autonomia), inoltre, si è modellata prevalentemente quale “autogoverno” delle comunità accademiche, incidendo così sugli assetti organizzativi, più che sulle modalità di erogazione della funzione didattica. Una esemplificazione efficace di quanto appena sottolineato si evince dalla considerazione che mentre, ad esempio, l’unità di misura del credito universitario, quale fondamento del riconoscimento reciproco dei percorsi universitari, si è affermata pressoché ovunque, le autorità istituzionali accademiche che presiedono alla sua affermazione, nonché le modalità con cui operano a tal fine, sono diverse... (segue)