editoriale di Sandro Staiano
Accorpare le Regioni, facendone un’entità radicalmente diversa: sono troppo piccole e disfunzionali. Sopprimere le Regioni, incentrando il sistema solo sui Comuni: sono troppo grandi, anche per questo estranee ai caratteri originari dell’ordinamento italiano come prodotto storico, e sono inevitabilmente corrotte. Non sopprimere tutte le Regioni, ma solo alcune, come la Regione Lazio, il focolaio maggiore dell’infezione, lasciando interamente campo alla Città metropolitana e a Roma Capitale. Sottoporre a sanzione le Regioni: non solo le persone incardinate nei loro apparati, non solo gli organi in carica pro-tempore, ma proprio l’Ente che, secondo l’art. 114 Cost., contribuisce a “costituire la Repubblica”, assoggettandolo, per decreto-legge, a misure restrittive, così urgenti da consentire decisioni “derogatorie” al quadro delle norme costituzionali e invasive della competenza statutaria regionale. Misure che le Regioni stesse accettano di buon grado, impegnandosi a non ricorrere alla Corte costituzionale, nella consapevolezza dell’ondata di discredito che le investe: una sorta di “contrattazione di legittimità”, che crea una “zona franca provvisoria” dalla giurisdizione costituzionale per via di tacito accordo in sede politico-istituzionale. Questo quanto si è ascoltato nelle sedi della decisione politica, è risuonato nelle aule parlamentari, è stato (parzialmente) praticato innanzi all’incombere della nuova “questione morale”. Da asserzioni e pratiche siffatte è parso emergere, nei decisori politici, un sentimento di sorpresa e di disillusione, quasi che essi, dopo essersi lungamente affaticati intorno al fenomeno e averlo orientato con variabile successo, giungano oggi al disvelamento, alla conoscenza del noumeno, alla Regione come cosa in sé, un’entità dei cui tratti e della cui stessa esistenza non avevano conoscenza e dunque non sono responsabili. E, riconoscendone la negatività, ne meditano la soppressione. Insieme e conseguentemente, dismettono l’idea federalista... (segue)