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Con una recente sentenza del 22 novembre 2013 – la n. 278 –, la Corte costituzionale è nuovamente tornata sulla questione della possibilità di revocare la manifestazione di volontà della madre biologica, su richiesta del figlio naturale adottato da terzi, a restare nell’anonimato anche a distanza di decenni dal parto. Come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo dell’analisi, la sentenza in commento risulta di un certo interesse dottrinale, non soltanto perché la Corte sembra aver finalmente detto l’ultima parola rispetto a questa vexata quaestio – sia alla luce dei propri precedenti giurisprudenziali, sia, in un’ottica sovranazionale, con riferimento ai precedenti della Corte di Strasburgo in materia –, ma anche perché le motivazioni utilizzate dai giudici della Consulta sollecitano ad una valutazione di più ampio respiro, in particolare sul ruolo svolto dalla giurisprudenza della Corte EDU nel nostro ordinamento. La decisione in commento trae origine da un’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Catanzaro che aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (“Diritto del minore ad una famiglia”), così come modificato dal Codice in materia di protezione dei dati personali, nella parte in cui escludeva la possibilità di autorizzare la persona adottata all’accesso alle informazioni sulla propria madre biologica, senza avere previamente verificato la persistenza della volontà della stessa di restare nell’anonimato... (segue)
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