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La storia della legalità penale, grimaldello di garanzia del cives e portato del pensiero illuministico, è la storia di un continuo “perfezionamento” dei confini - per fonte e contenuto - del potere cui spetta la scelta dei fatti da punire e delle correlate sanzioni. Aprendo una stretta finestra sull’epoca moderna, il principio in parola si trova enunciato nel codice penale del ’30, all’art. 1, negli stessi termini dell’art. 1, comma 1, del previgente codice Zanardelli: qui concede al monopolio legislativo la scrittura della norma penale. Il mantenimento del principio di riserva di legge, di matrice liberale, (anche) in epoca fascista, riflette così la comune affermazione del suddetto primato tanto negli ordinamenti liberal-democratici, sulla base del principio di separazione dei poteri, quanto in quelli democratico-popolari, ancorché sulla base dell’opposto principio dell’“unità dei poteri”. Va pur detto che al deficit democratico caratterizzante il potere legislativo al tempo del varo della vigente codificazione penale, e che connotava la stessa fonte di primo livello, andava misurata in aggiunta la possibilità di derogare al principio della riserva di legge a mezzo di un (disinvolto) rinvio alle fonti secondarie, ipotesi pacificamente ammessa in regime di costituzione flessibile... (segue)
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