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FOCUS - Human rights N. 3 - 24/10/2014

 I migranti ci guardano

 La storia dei Paesi europei che − come ci insegnano le vicende dell’Impero romano − è storia di migrazioni, fin dalle sue origini ed è storia nella quale si è affermata la civiltà dei popoli barbari e germanici vinti dai Romani, specialmente a partire dalla battaglia di Adrianopoli del 9 agosto 378. Tale battaglia, infatti, rappresenta una tappa fondamentale nella evoluzione del nostro continente perché, essendosi conclusa con l’annientamento dell’esercito romano ad opera dei Visigoti, obbligò i Romani ad arruolare per il nuovo esercito i barbari, molti dei quali precedentemente istruiti all’uso delle armi dai Romani stessi, in un momento in cui mai si sarebbe immaginato che potessero diventare nemici e, quindi, dando luogo ad una situazione che può dirsi non del tutto dissimile da quella venutasi a creare ai giorni nostri nelle tristi vicende dell’Iran, dell’Iraq e, da ultimo, del califfato ISIS. Nel corso dei secoli successivi questo fenomeno di migrazione e mescolanza dei popoli all’interno del continente europeo ha continuato a manifestarsi, in vario modo fino a che si è giunti alla fuga in massa, nella prima metà del secolo scorso, dall’Europa dominata dal nazifascismo e, in Italia, alla cosiddetta “grande emigrazione”che, secondo stime recenti, tra il 1860 e il 1985, ha riguardato più di 10 milioni di persone, prima dell’Italia settentrionale e poi di quella meridionale, ed è stata originata dalla diffusa povertà di vaste aree del Paese e dalla voglia di riscatto di intere fasce della popolazione. E proprio dalle macerie prodotte dalla seconda guerra mondiale ha preso l’avvio l’ambizioso “progetto europeo”, volto a evitare altre guerre “fratricide” nel continente e a fare sì che a tutte le persone – compresi i numerosi migranti e diseredati – fosse riconosciuta pari dignità, nell’idea che a tutti gli individui debba essere garantita la «possibilità di godere di quelle semplici gioie e di quelle speranze che fanno sì che la vita valga la pena di essere vissuta».Pertanto, basta fare un piccolo esercizio di memoria per avere la consapevolezza – ricavabile dalle nostre stesse radici – di quella che è la situazione esistenziale di un migrante, situazione nella quale, fin dal momento in cui di decide di lasciare il proprio Paese, dominano la “attesa” e la “speranza” di riuscire a raggiungere una condizione di vita migliore per sé e per i propri cari. Se poi dalla speranza si passa alla disperazione morale e materiale questo non dipende dai migranti, ma soprattutto da chi regola le immigrazioni, da sempre e in qualunque luogo o momento storico avvengano le migrazioni medesime. Pertanto, dipendendo il destino dei migranti prevalentemente dalla volontà altrui essi possono essere considerati come i “bambini” del mondo, non solo perché molto spesso sono effettivamente minorenni – di frequente non accompagnati – ma anche perché si trovano a “subire” le conseguenze di scelte operate da altri, di cui spesso non comprendono il significato o che considerano sbagliate. Continuando in questa similitudine, è bene tenere presente che se − così come mirabilmente ci ha raccontato Vittorio De Sica nel suo bellissimo film del 1944, tuttora di grande attualità – “I bambini ci guardano”, anche i migranti, facendo le dovute differenze, “ci guardano” e spesso, proprio come il piccolo Pricò protagonista del film, percepiscono, meglio e prima di noi, quanto siano contraddittori, in sé e nei loro confronti, i nostri comportamenti, sia quelli dell’Unione europea, sia quelli dei singoli Stati che la compongono sia quelli dei cittadini europei. Forse se riuscissimo ad intercettare i loro sguardi e ad adottare linee di condotta più coerenti con i principi nei quali diciamo di credere potremmo porre le basi per un modo diverso di gestire l’immigrazione, nel quale le misure poliziesche e sanzionatorie siano riservate soltanto a chi effettivamente le merita − a partire dai trafficanti di esseri umani – mentre di regola – sia per l’ingresso così come per il soggiorno – sia sempre garantito il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti, con l’obiettivo, al livello UE, di una “integrazione sostenibile” e con la consapevolezza che il raggiungimento di tale obiettivo presuppone che ci si riesca a guadagnare la stima degli interessati. In altri termini, si dovrebbe puntare su linee di politica autorevoli e non ciecamente autoritarie, così come, mutatis mutandis, si fa quando ci si trova a contatto con i bambini: bisogna guadagnarne la stima “sul campo”, non farli crescere in cattività, se si vuole che crescano senza ribellarsi in modo violento agli adulti.... (segue)



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