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FOCUS - Human rights N. 1 - 22/01/2016

 Il divieto francese al velo integrale, tra valori, diritti, laïcité e fraternité

Negli ultimi dieci anni, la questione della presenza dei simboli religiosi negli spazi pubblici, già al centro da tempo di riflessioni e controversie in Europa e nel resto dell’Occidente, ha visto crescere il confronto intorno al velo femminile che copre il volto, comunemente indicato come burqa o niqab. Capo di abbigliamento connotato da un mosaico di contenuti simbolici (religiosi, culturali, tradizionali), il velo integrale approda in Occidente attraverso le immigrazioni, sollevando questioni complesse e diventando ben presto materia di interesse politico, che mette in discussione «la capacità delle democrazie liberali di trovare soluzioni giuridiche e politiche legittime ed efficaci a un tempo» per far fronte ad istanze e manifestazioni che si percepiscono come lontane dai valori della maggioranza, senza compromettere i diritti individuali. È l’aspetto culturale del velo integrale quello che sembra prevalere nell’immaginario mediatico e nella valutazione politica, con la conseguenza di vedervi espressi, di volta in volta, una radicalizzazione etnico-religiosa e il rifiuto dei valori fondamentali della società ospite o, più in generale, la difficoltà di integrazione delle comunità islamiche immigrate. Tuttavia, nonostante un vivo dibattito, giunto anche nelle aule giudiziarie, e numerose proposte normative, atte a vietare l’uso del velo integrale negli spazi pubblici, la maggior parte dei Paesi europei ha fino ad ora preferito astenersi dall’imporre divieti a carattere assoluto, seguendo la linea suggerita dalle istituzioni europee, volta a contenere il fenomeno facendo leva sulle “armi” democratiche dell’educazione e del dialogo, piuttosto che su quelle legislative. In Francia, la questione del velo integrale, che ha condotto all’approvazione della Legge 11 Ottobre 2010, n. 2010-1192, si situa entro una cornice culturale, politica e sociale (prima ancora che normativa), dai tratti peculiari, oggi, purtroppo, inevitabilmente enfatizzati dagli attacchi terroristici del gennaio e del novembre 2015. Pochi giorni dopo il bagno di folla parigino seguito agli attentati del 7 gennaio, quando per le vie della capitale francese si sono visti sfilare capi di Stato e di governo insieme a semplici cittadini europei, il presidente del Senato, su richiesta del presidente della Repubblica, François Hollande, redige un Rapporto sulla cittadinanza e sull’appartenenza repubblicana. Con accenti non privi dell’inevitabile retorica del momento, si invitano i poteri pubblici a farsi portatori di un messaggio in grado di affermare con forza i valori repubblicani, la cittadinanza e gli elementi simbolici che la rappresentano («Il faut faire vivre ces valeurs à travers des rites partagés et renouvelés»), interrogandosi, nel contempo, sulle mancanze nei processi di integrazione. È questo il terreno sul quale le autorità francesi appaiono muoversi in questi anni - sul piano educativo, legislativo, giurisdizionale - perseguendo con determinazione l’obiettivo di una maggiore integrazione sociale che non rinunci, ma anzi si fondi sempre più chiaramente, su un’accettazione comune del modello del vivre ensemble secondo i valori repubblicani. Il tema del velo integrale negli spazi pubblici si presenta, nel contesto di queste dinamiche, come un affaire di natura simbolica, attraverso il quale il Paese misura lo “stato di salute” della propria coesione sociale intorno ai valori repubblicani tradizionali, oltre che la tenuta del principio di laicità. In verità, nel dibattito politico-giuridico che ha accompagnato la contestata legge sul velo integrale, apparentemente non è in gioco l’osservanza della laicità, che, come è noto, si fonda sui tre pilastri della libertà di coscienza, della separazione tra Stato e Chiese e dell’uguale rispetto di tutte le convinzioni e religioni. La neutralità garantita dal principio di laicità, infatti, è d’obbligo nei servizi pubblici e deve essere assicurata dalle istituzioni, non anche dai privati cittadini; sono altri i valori repubblicani messi in crisi dal velo integrale: primi tra tutti, la fraternité, la libertà e l’eguaglianza tra uomini e donne. Nondimeno, come vedremo, alcuni passaggi argomentativi adottati nel corso dei Lavori preparatori sembrano non solo richiamare implicitamente, ma persino estendere i contorni propri del principio di laicità. Da un lato, infatti, la formula “spazio pubblico”, adottata nella Legge del 2010 per la prima volta in luogo di “spazi pubblici”, suggerisce una sfera simbolica (e non singoli spazi fisici) nell’ambito della quale cittadini e istituzioni sono chiamati a tenere un comportamento improntato alla “discrezione” rispetto alle proprie manifestazioni religiose. Dall’altro, a fronte di un cauto riconoscimento delle esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico materiale (che potrebbero legittimare, ad avviso di chi scrive, forme di limitazione all’uso del velo integrale negli spazi pubblici), emerge un concetto di ordine pubblico immateriale dai contorni giuridici incerti e sulle cui fondamenta si costruisce la tematica del “vivere insieme” e della coesione sociale. Se il principio di laicità vede accrescersi implicitamente il proprio spazio di applicazione, la tutela della libertà religiosa, al contrario, sembra svolgere, nel dibattito che conduce alla Legge del 2010, un ruolo di comprimario. Il velo integrale rappresenta - anche e soprattutto per le donne che lo indossano - una manifestazione di identità religiosa ed è dunque a questo titolo che dovrebbe essere sottoposto ad un eventuale bilanciamento con interessi e diritti di pari rango costituzionale, in ossequio, non va dimenticato, a quanto stabilito dall’insieme delle disposizioni internazionali a tutela del diritto di libertà religiosa, cui i sistemi giuridici nazionali sono chiamati a conformarsi. Nel caso francese i contorni dell’usuale paradigma tendono a mutare: il simbolo del velo integrale è ricondotto a tradizioni etnico-culturali e solo in parte ad una manifestazione religiosa (peraltro percepita come minoritaria e radicalizzata), permettendo così un affievolimento del ricorso ad un adeguato bilanciamento tra i diritti in gioco. Nel contempo, il valore collettivo della coesione sociale assurge al ruolo di diritto fondamentale, assicurandosi un primato sulle libertà individuali... (segue) 



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