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FOCUS - Human rights N. 2 - 28/07/2017

 Il diritto ad un giudice terzo e imparziale nell'interpretazione conforme al significato consolidato dell'art. 6 Cedu

L’affermazione ripetuta, ad opera della Corte costituzionale, del criterio di interpretazione conforme alla Cedu, nel consolidato significato ad essa assegnato dalla Corte di Strasburgo, comporta un necessario ripensamento dei «casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi» (art. 52 c.p.c.) e, conseguentemente, dei casi di ricusazione dello iudex suspectus, alla luce dell’art. 6 § 1 Cedu, secondo cui «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge». Invero, l’attributo della imparzialità del giudice è affermata non solo nell’art. 6 § 1 Cedu, e nel nuovo art. 111, comma 2, dalla nostra Costituzione («Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale»); ma anche, espressamente come diritto dell’individuo, nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea («diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale») e nell’art. 14 § 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 («Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge»). Ma l’importanza assegnata all’art. 6 Cedu è conseguente alla ampia elaborazione giurisprudenziale del concetto offerta dalla Corte di Strasburgo (in buona parte, recepita anche dalla Corte del Lussemburgo); e dalle conseguenze normative che comporta l’obbligo di interpretazione conforme alla Convenzione. Questa delicata materia, che si innesta nei gangli della funzione giurisdizionale, ha subìto negli anni una silente evoluzione, sotto la vivace spinta del diritto sovranazionale, che ha coniato un sistema assiologico processuale comune, nella sostanziale indifferenza, almeno per il profilo che qui si discute, delle nostre Corti supreme. Rispetto alla formale adesione alla Cedu, avvenuta nel lontano 1955, e al Patto internazionale, avvenuta nel 1977, il legislatore costituzionale è intervenuto solo nel 1999, ribadendo espressamente, nel nuovo art. 111 Cost., il paradigma del giusto processo. Ma la sezione «Dell’astensione, della ricusazione e della responsabilità dei giudici» (Sezione VII del Titolo I) del codice di procedura civile, salvo qualche ritocco – il più importante dei quali si deve all’esito plebiscitario del Referendum del 1987 (su cui, infra, par. 6) – risente ancora della idea della giurisdizione come esercizio di un potere statuale irresponsabile e non come «servizio per la collettività»; benché, con l’attribuzione della funzione giudicante ad un giudice unico si sia ulteriormente acuito il bisogno di garantire una effettiva imparzialità, invece negletta dalla contestuale erosione di ogni forma di controllo collegiale sull’operato del giudice istruttore. Qualche riscontro a livello giurisprudenziale, per vero, si è avuto. Infatti, in un arresto del 2014, si ricorda come le Ss.Uu. «già a partire dalla sentenza n. 17636 del 2003, hanno ritenuto che la Costituzione attribuisca a ciascuna parte il diritto soggettivo al giudice imparziale, postulandone la tutelabilità giurisdizionale, ed in particolare affermando che l’ordinanza che pronuncia sulla ricusazione ha natura decisoria, “atteso che decide su un’istanza diretta a far valere concretamente l’imparzialità del giudice, la quale costituisce non soltanto un interesse generale dell’amministrazione della giustizia, ma anche, se non soprattutto, un diritto soggettivo della parte (e ciò alla luce sia dell’art. 6 Cedu, sia del nuovo testo dell’art. 111 Cost.)”». Tuttavia, come avremo modo di considerare nei successivi paragrafi, la Corte regolatrice non sempre ne ha tratto le necessarie conseguenze, preferendo perseguire, in concreto, una interpretazione conservatrice degli artt. 51 e 52 c.p.c. a detrimento del diritto al giudice imparziale, pur in astratto riconosciuto; semmai, recuperando la garanzia del giusto processo sul fronte della responsabilità disciplinare del magistrato che abbia omesso di astenersi nonostante la sussistenza di circostanze che ne imponevano il relativo obbligo... (segue) 



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