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FOCUS - Human Rights N. 3 - 29/12/2017

 'Da Sark a Mosca'. La Corte edu quale nuova istanza contro-maggioritaria

Con la sentenza del 24 marzo 2016 della Corte europea dei diritti dell’uomo sembra essersi finalmente conclusa la travagliata vicenda delle riforme costituzionali, che, nel corso dell’ultimo decennio, ha interessato la Signoria di Sark. Quest’ultima, seppur formalmente inquadrata nel Baliato di Guernsey (dipendenza della Corona britannica e residuo dell’antico Ducato di Normandia), ne costituisce una regione pressoché autonoma: in conformità ad alcune lettere patenti concesse tra il 1565 ed il 1675, infatti, la massima autorità sull’isola è rivestita da un Signore (Seigneur Lord), affiancato da un Siniscalco (Seneschal) e da un piccolo parlamento (Chief Pleas) che esercita il potere normativo mediante l’approvazione di ordinances laws. Per entrare in vigore, le leggi necessitano della sanzione regia, subordinata per consuetudine al parere di un’apposita articolazione del Privy Council, presieduta dal Ministro della Giustizia inglese, cui spetta verificare che l’atto non contrasti con obblighi assunti dalla Corona sul piano internazionale, con principi costituzionali fondamentali o con evidenti interessi pubblici. Tanto premesso in ordine al complessivo quadro istituzionale, ciò che merita di essere segnalato è che il processo di riforma, cui si accennava in limine, è apparso interamente dominato dall’esigenza di non esporre il fianco a potenziali condanne da parte della Corte edu; circostanza che è tanto più significativa se si considera che le novelle in questione sono state assai ampie e penetranti. In origine infatti, e per più di quattrocento anni, Sark ha avuto un’organizzazione dei pubblici poteri di stampo tipicamente feudale: la qualifica di Seigneur era (ed è tuttora) ereditaria e, in cambio di alcune prestazioni militari e tributarie a favore della Corona, conferiva un potere pressoché assoluto; il Seneschal era nominato a vita dallo stesso Seigneur, che egli coadiuvava nell’esercizio del potere legislativo e di quello esecutivo, essendone al contempo una sorta di longa manus in campo giudiziario; allo Chief Pleas, infine, potevano accedere solo i discendenti dei quaranta antichi proprietari terrieri (tenants). Tale assetto, certo incompatibile con le conquiste del moderno costituzionalismo, era invero profondamente radicato nel substrato socio-politico locale, come ha poi testimoniato la circostanza che i cittadini, chiamati alle urne per la prima volta nel 2008, hanno riconfermato pressoché tutti i tenants nei seggi da loro occupati, fino a quel momento, su base dinastica. Cionondimeno, sul piano giuridico le cose sono bruscamente mutate a seguito, appunto, della Reform (Sark) Law 2008, la quale ha sottratto al Signore pressoché ogni prerogativa non meramente onorifica, ha subordinato la permanenza in carica del Siniscalco al placet di un Lieutenenant Governor britannico ed ha reso il Parlamento interamente elettivo, estendendo il diritto di voto a tutti i residenti a prescindere dalla cittadinanza. Alcuni emendamenti approvati a partire dal 2010, poi, hanno chiuso il cerchio, escludendo il Siniscalco dalla Camera e disciplinandone maggiormente l’esercizio delle residue funzioni giudiziarie. Che alla base di siffatte novelle vi sia stato – come si diceva – il timore di incorrere in censure da parte di Strasburgo emerge chiaramente dalle parole con le quali nel 2006 il Secretary of State for Justice aveva appoggiato il ritiro del progetto di legge nella sua originaria formulazione (che introduceva il suffragio popolare per la sola metà dei seggi), scrivendo che «Shark should give itself, and the UK, the best protection it can from ECHR challenge and its possible consequences». Il livello dello scontro si era ulteriormente innalzato l’anno successivo, quando, di fronte alla determinazione dei tenants a riservarsi almeno metà dell’Assemblea legislativa ed in aperta rottura con una prassi plurisecolare, il Ministro si era spinto a negare formalmente il royal assent, allegando la possibile violazione dell’articolo 3 del Protocollo addizionale alla Cedu sul «diritto a libere elezioni»... (segue)



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