Il diritto di asilo europeo è stato ed è, con problematica frequenza, oggetto di continui interventi di riforma, tanto a livello europeo quanto all’interno dei singoli Stati membri. Eppure, le numerose riforme realizzate non hanno prodotto risultati apprezzabili riguardo alla effettiva costruzione di un sistema di protezione dei richiedenti asilo, configurandosi – tutt’ora – una forma di tutela ancora fortemente condizionata dai limiti (intrinseci) della risposta giudiziale offerta dalle Corti, di volta in volta, competenti e particolarmente carente riguardo alle soluzioni politiche ed istituzionali apprestate. Il dato già in apertura rilevabile è che gli interventi in materia siano caratterizzati da una strutturale contraddizione accentuatasi nella – altrimenti nota – seconda fase di realizzazione del sistema europeo di asilo e negli interventi normativi più recenti. E’ agevole constatare come il refrain riformatore, da un lato, si prefigga ambiziosi obiettivi di costruzione di un sistema comune e uniforme di protezione dei c.d. rifugiati e di riduzione delle differenze all’interno dello spazio europeo su aspetti fondamentali, quali quelli riguardanti il contenuto stesso dalla tutela offerta e le condizioni per la sua realizzazione, ma dall’altro si mostri legato ad una logica – potrebbe dirsi con un eufemismo – asistematica che con i primi risulta in aperta contraddizione. Di conseguenza, il tratto che caratterizza tutti gli interventi elaborati in sede europea e che ne rappresenta, senza dubbio, l’aspetto più incoerente e – se vogliamo sclerotico – coincide con una irrisolta ed assoluta incongruità fra obiettivi e strumenti di realizzazione, tra una affermata tensione di sistema e la persistenza di un approccio nazionale alla gestione dei flussi migratori. Per essere più chiari, la contraddittorietà deriva dalla surrettizia e –finanche – non strutturata valorizzazione ( giova ripeterlo, fuori sistema) del ruolo degli Stati membri nella regolazione dei flussi migratori e, per quanto qui direttamente rileva, nella predisposizione di strumenti di tutela di quella speciale categoria di migranti che si denomina “richiedenti protezione internazionale”. A dispetto e contro le scelte di un progressivo rafforzamento di un sistema comune che, a partire dal Trattato di Amsterdam nel 1999, si sono indirizzate verso una omogeneizzazione delle risposte statali alle richieste di protezione internazionale, è agevole verificare una nuova e – invero – non chiara valorizzazione del ruolo degli Stati membri in diverse e tutte raffrontabili direzioni. E il verso delle riforme sembra così inequivocabilmente indirizzato da rendere molto paradossale l’enfasi circa la costruzione di un effettivo sistema di protezione europeo. Del resto è innegabile che l’ avvenuta comunitarizzazione della materia asilo ed immigrazione non abbia condotto – fino ad ora – ad un allineamento né dei tassi di accoglienza, né tantomeno dei livelli di tutela offerti dagli Stati membri e che l’obiettivo della creazione di un effettivo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui si assicura la libera circolazione delle persone” abbia progressivamente visto prevalere le esigenze di sicurezza e prevenzione del terrorismo internazionale, consolidando una situazione che è stata definita emblematicamente di “insicurezza identitaria e nazionalismo galoppante”, a pieno detrimento dei diritti dei cittadini di Paesi terzi in movimento verso l’Europa. Ragione per cui le scelte politiche più recenti sono destinate a produrre i loro effetti in un contesto che – già di per sé – ha realizzato scarsissimi risultati. L’incoerenza delle politiche europee si manifesta in tanti e differenti modi. Le spinte asistematiche rinvenibili nella disciplina riguardante le forme di tutela internazionale dei richiedenti asilo in Europa sono paradigmaticamente rivelate dall’assunzione di un approccio che, per semplicità, si è definito nazionale e che caratterizza sia la legislazione in materia che i filoni giurisprudenziali in progressivo consolidamento. La conseguente valorizzazione del ruolo degli Stati è, infatti, l’effetto tanto delle scelte di politica europea quanto della giurisprudenza delle Corti, della Corte Edu come della Corte di Giustizia. Su entrambi i fronti è, infatti, verificabile una tensione (volontaria o per forza di cose) destrutturante che, lungi dal rinsaldare l’edificazione di un sistema di tutela, conduce ad una individualizzazione della risposta normativa ai problemi riguardanti i movimenti di cittadini di paesi terzi all’interno dello spazio europeo... (segue)
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