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Nel giudizio promosso da diversi ricorrenti (associazioni e giornalisti attivi nel campo delle libertà civili), la Corte constata l’indebita ingerenza nel diritto alla vita privata costituita dalle attività di intercettazione su vasta scala delle comunicazioni elettroniche e di condivisione dei dati raccolti poste in essere dai servizi segreti del Regno Unito in collaborazione con quelli statunitensi. Sebbene le intercettazioni di massa non siano di per sé incompatibili con la Convenzione, la Corte ravvisa nel caso di specie (riferito all’applicazione delle norme vigenti prima della riforma introdotta con l’Investigatory Powers Act 2016) l’insussistenza di adeguate garanzie nelle modalità con cui le autorità ottengono i dati dai fornitori di servizi della comunicazione, lesive anche della libertà di espressione poiché non tutelano le fonti giornalistiche confidenziali.
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