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La Corte constata la violazione del diritto a un equo processo e a un ricorso effettivo delle ricorrenti, in relazione all’eccessiva durata del procedimento penale in cui esse si sono costituite parte civile affinché fosse sanzionata la discriminazione indiretta subita dalle autorità locali, che aveva rigettato la loro domanda di usufruire del sussidio dalla legge destinato ai nuovi nati (“bonus bebè”) per il motivo che le richiedenti, madri di etnia rom, non erano in grado di provare di essere regolarmente sposate con i padri dei bambini.
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