L’Unione europea riconosce il diritto di libertà religiosa (art. 10 della Carta dei diritti fondamentali UE), ma le sue istituzioni non hanno competenza diretta in materia religiosa (art. 5 TUE e art. 17 TFUE). Si delinea, in tal modo, un rapporto complesso tra diritto europeo, libertà religiosa e le organizzazioni citate, «che trova la sua principale ragion d’essere nella natura ibrida dell’Unione europea», tesa tra un modello federale e la difesa della sovranità delle singole nazioni. Tuttavia, la mancanza di una diretta competenza in merito alla libertà religiosa della Corte di Giustizia UE, non impedisce ai giudici di Lussemburgo di esercitare la propria giurisdizione in questioni legate all’applicazione del diritto dell’UE, che tocchino anche il fenomeno religioso o l’attività delle organizzazioni religiose che operano nel territorio dell’Unione. Ne deriva una concreta possibilità per le pronunce della Corte UE di incidere sul diritto degli Stati membri, fino a condizionare, recentemente, con più coraggio, alcuni importanti profili della libertà religiosa e della sua manifestazione attraverso l’esposizione di un simbolo. Il Consiglio d’Europa, invece, instaura un percorso di integrazione europea diverso e complementare rispetto all’Unione europea, costituito da un sistema di diritti fondamentali di carattere sovranazionale che, attraverso la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU), si pone l’obiettivo di dare effettività ai principi stabiliti dalla Convenzione e di sanzionare quegli Stati contraenti che non adempiono agli obblighi derivanti dalla stessa. La competenza della Corte EDU «si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli» (art. 32 CEDU); essa, pertanto, è direttamente competente a decidere sul rispetto dell’art. 9 CEDU, che tutela la libertà di coscienza, di pensiero e di religione. Nella sua opera di interpretazione della Carta, la Corte EDU è chiamata a elaborare dei criteri di interpretazione che siano in grado di bilanciare le esigenze di tutela dei diritti fondamentali protetti dalla Convenzione con le tradizioni storiche e giuridiche dei singoli Stati europei, le quali, con riferimento al fenomeno religioso e alla simbologia religiosa, assumono un elevato grado di incidenza. Si tratta di un tema delicato, che investe direttamente l’interpretazione della Convenzione e, di conseguenza, le soluzioni che la Corte EDU individua di volta in volta. I giudici di Strasburgo, nell’operare un bilanciamento tra tutela dei diritti fondamentali e rispetto delle specificità nazionali, mostrano un atteggiamento molto prudente, che inevitabilmente incide sul più generale modus operandi della Corte nella risoluzione dei casi che viene chiamata a giudicare. Nello svolgimento di questo compito, i giudici hanno da tempo mostrato una certa sensibilità, fino a enucleare ed elevare a criterio guida delle proprie decisioni il c.d. margine di apprezzamento. Il criterio del margine di apprezzamento tende ad assumere diverse accezioni e incisività a seconda della norma CEDU che si ritiene violata, della misura statale o dell’interesse sulla base del quale lo Stato in questione giustifica l’interferenza con il diritto sancito dalla CEDU. Si tratta di un criterio interpretativo la cui applicazione indica l’impostazione generale seguita dalla Corte di Strasburgo nel non agevole compito di bilanciare la sovranità delle parti contraenti con i loro obblighi ai sensi della CEDU. In tema di simboli religiosi, il margine di apprezzamento assume un’importanza cruciale nelle decisioni della Corte: i giudici di Strasburgo tendono a conferire agli Stati membri una certa libertà di azione e di manovra, poiché si tratta di casi in cui insistono con maggiore intensità elementi di specificità di un determinato ordinamento nazionale… (segue)
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