Il caso da cui origina il rinvio pregiudiziale alla base della sentenza della Corte concerne il ricorso presentato da Google davanti al Conseil d’Etat allo scopo di chiedere l’annullamento della sanzione di 100000 euro inflitta dalla CNIL alla suddetta società per non essersi adeguata alla richiesta di cancellare alcuni link dall’elenco di risultati visualizzato su tutte le estensioni del nome di dominio del suo motore di ricerca e non solo sulle declinazioni del suo motore il cui nome di dominio corrisponde allo Stato membro di residenza dell’interessato (come fatto da Google). La Corte afferma che l’ampia tutela del c.d. diritto all’oblio dell’individuo interessato prevista dal legislatore europeo dovrebbe condurre a imporre una cancellazione su tutte le estensioni del nome di dominio del motore di ricerca, quindi, anche in Paesi extra-europei. Tuttavia, nel bilanciamento di interessi, è necessario tenere in considerazione che molti Stati terzi non riconoscono il diritto alla deindicizzazione (o comunque adottano un approccio diverso per tale diritto) e che il diritto alla protezione dei dati personali non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti quale, ad esempio, la libertà di informazione degli utenti, equilibrio che può variare molto nelle diverse parti del mondo. A ciò si aggiunge che, dal tenore letterale dell’articolo 17 del regolamento 2016/679 non risulta che il legislatore dell’Unione abbia scelto di attribuire al diritti individuale su richiamato una portata che vada oltre il territorio degli Stati membri e che abbia inteso imporre agli operatori un obbligo di deindicizzazione riguardante anche le versioni nazionali del suo motore di ricerca che non corrispondono agli Stati membri. Da tutto ciò discende che il regolamento in questione deve essere interpretato nel senso essere che il gestore di un motore di ricerca, quando accoglie una domanda di deindicizzazione, è tenuto ad effettuare quest’ultima non in tutte le versioni del suo motore di ricerca, ma nelle versioni di tale motore corrispondenti a tutti gli Stati membri. Infine, la Corte sottolinea che se il diritto della UE non impone detta deindicizzazione “totale” neppure la vieta, per cui, le autorità di controllo o le autorità giudiziarie di uno Stato membro restano competenti ad effettuare, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali, un bilanciamento tra i vari diritti in questione e, al termine di tale valutazione, richiedere, se del caso, al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore.
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