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FOCUS - Human Rights N. 2 - 04/10/2019

 La Corte di Strasburgo tra misure discriminatorie e politiche urbane per i territori eccezionali. Il caso Garib v. The Netherlands

Il 6 novembre 2017 la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso Garib v. The Netherlands con una decisione presa a maggioranza (12 a 5) che ha escluso la violazione della libertà di circolazione e di  scelta della propria residenza garantita dall’art. 2 del Protocollo n. 4 Cedu. In particolare, nel caso oggetto di studio, la signora Garib, una madre single nativa olandese residente a Vlaardingen,  si era trasferita nel quartiere Tarwewijk di Rotterdam nel 2005 dopo aver vissuto per anni al di fuori della città metropolitana: quando nel 2007 il proprietario le aveva chiesto di trasferirsi in un’altra abitazione nello stesso quartiere, soprattutto in considerazione delle caratteristiche della nuova casa (più ampia della prima e con giardino) e delle esigenze dei due figli, la signora Garib aveva accettato la proposta. Secondo la legge vigente, la ricorrente aveva dunque presentato la richiesta di un permesso di alloggio affinché il Comune le concedesse la residenza nella nuova struttura. Tale richiesta, poi rigettata, era stata inoltrata quando era già intervenuta la modifica (risalente al 2006) dell’art. 8 dell’Urban Areas Act, con cui i consigli comunali avrebbero potuto gestire quelle aree che soddisfacevano le condizioni generali di “special need for transformation due to local socio-economic problems”. L’art. 8, in particolare, disciplina le ipotesi di esclusione in base al reddito e alla durata della residenza, per cui, coloro che desiderano trasferirsi in una specifica area, devono essere titolari di redditi da lavoro (intendendo con ciò anche il finanziamento per studenti o la pensione) e aver vissuto nella regione metropolitana per un periodo continuativo di almeno di sei anni a partire dal momento della richiesta di un permesso di alloggio. Una eccezione al requisito del reddito da lavoro è ammessa soltanto per coloro che abbiano vissuto per più di sei anni nella Regione metropolitana e che, pertanto, potrebbero essere autorizzati a trasferirsi nell’area richiesta. Il successivo art. 9 dispone in merito alle preferenze di natura socioeconomica come la composizione familiare, l’età, il livello di istruzione e di occupazione. L’art. 10, infine, riguarda le ipotesi di esclusione per motivi legati ai dati presenti nel casellario giudiziale o al comportamento: in questo senso, al fine di ridurre i livelli di disturbo e gli atti criminali in particolari quartieri, le città possono negare l’alloggio a coloro il cui comportamento possa provocare un danno agli altri o possa rappresentare un rischio per la sicurezza (come il rumore eccessivo e l’emissione di sostanze nocive per l’ambiente come fumo o fuliggine, reati legati alla droga, atti di vandalismo, linguaggio offensivo o discriminatorio o intimidazione dei residenti, atti di violenza contro i vicini, ubriachezza pubblica, incendio doloso e “atti radicalizzanti, estremisti o terroristici”). Nell’utilizzo della legge per la riqualificazione delle aree più bisognose, i Comuni sono particolarmente incoraggiati dal Ministero dell’interno e delle relazioni con il Regno (BZK) a utilizzare il “Leefbaarometer” o indice di vivibilità prodotto dal governo nazionale. Si tratta, in particolare, di un indice che combina due differenti parametri utili a valutare la qualità del quartiere: dapprima si stima il valore degli immobili presenti nell’area e successivamente si utilizzano una serie di indicatori per avviare indagini sul quartiere che tengano in considerazione i punti di vista e le esigenze dei residenti. A seguito della combinazione dei due parametri, sono state introdotte 49 variabili nel Livability Index, incluse le misure di quota degli immigrati non occidentali come vicini di quartiere, i costi abitativi, la quota di alloggi sociali e i tassi di disoccupazione. In virtù del fatto che la ricorrente non aveva, al momento degli eventi denunciati, né redditi da lavoro e non aveva neppure maturato il requisito dei sei anni di residenza nella regione metropolitana di Rotterdam, la Grande Camera ha stabilito che la libertà di circolazione di cui all’art. 2 del Prot. n. 4 Cedu poteva essere legittimamente limitata qualora quelle restrizioni individuali fossero state necessarie per recuperare la fase di declino di alcune aree urbane del centro e con l’obiettivo di fornire spazi vivibili per la quotidianità e strumenti di tutela dell’ordine pubblico nel caso in cui si fossero raggiunti certi “limiti nella capacità di assorbimento”, in conformità con un approccio integrato, utile a gestire i problemi dell’area urbana. La motivazione della decisione in questione è in realtà completamente incentrata sulla  dimostrazione dell’ampio margine di apprezzamento riservato agli Stati in materia di politiche economico-sociali, tra le quali rientrano a pieno titolo le pianificazioni urbanistiche e abitative, nell’ambito delle quali possono essere disposte misure di limitazione alla libertà circolazione e di residenza qualora sia ritenuto preminente un interesse pubblico concorrente quale è quello della gestione delle criticità (in termini di sicurezza e vivibilità) delle grandi città. La motivazione della decisione sembra puntare esclusivamente sulla contrapposizione tra le scelte individuali della ricorrente in tema di scelta del luogo ove risiedere (dopo il rigetto del permesso di  risiedere a Tarwewijk e dopo due gradi di giudizio che avevano confermato la legittimità del suddetto provvedimento di diniego la ricorrente nel 2010 si trasferiva a Vlaardingen) e il perseguimento di obiettivi di politica abitativa nelle aree metropolitane da parte dei pubblici poteri olandesi. Questo commento si propone di evidenziare in primo luogo il profilo - che non è stato preso in considerazione neppure dalla Grande Camera – relativo alla “peculiare” situazione e ai bisogni della signora Garib che, in qualità di madre single con due figli a carico e titolare di benefit sociali, avrebbe meritato ben altra attenzione e ponderazione. Inoltre, visto che per i giudici di Strasburgo i vincoli imposti alla ricorrente sono espressione della  piena discrezionalità di cui godono le autorità olandesi nella scelta delle politiche urbane, è utile approfondire l’origine storica e culturale nonché l’evoluzione della legge olandese sulle aree urbane al fine di evidenziare le criticità che la rendono un provvedimento legislativo decisamente distante dalla filosofia (di inclusione e coesione economico-sociale) che sostiene le politiche place based della Commissione europea… (segue)



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