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FOCUS - Human Rights N. 3 - 26/12/2018

 Prime note in tema di sovranità, rappresentanza politica e multiculturalismo: tra nuove forme di cittadinanza e 'diritti' di autogoverno

Esiste un nesso molto forte tra la struttura della società e la nozione giuridica di rappresentanza politica. Una rappresentanza politica che, proprio perché immaginata specchio della prima, dovrebbe rifletterne e riprodurne all’esterno tutta la sua problematicità. È allora, anzitutto, nella relazione biunivoca e fattuale tra conformazione del rappresentato e rappresentanza politica che si scorge la connessione tra multiculturalismo, partecipazione alla vita pubblica e accesso alle assemblee elettive. Un multiculturalismo che, nella prospettiva di indagine, viene inteso quale dato o fatto sociale della coesistenza sul territorio dello Stato di individui e di gruppi di diversa estrazione etnica ovvero culturale e non, invece, come dottrina ovvero modello di società, che mira all’attuazione di politiche volte al riconoscimento dell’eguale dignità di tutte le culture. In questo senso, la nozione di multiculturalismo, che qui si assume a premessa dell’indagine successiva, si atteggia a sinonimo di multietnicità – enfatizzando il rapporto di interscambiabilità tra “etnia” e “cultura” – e non investe viceversa il campo, arato in prevalenza dalla letteratura sociologica e dalla filosofia politica, delle modalità entro cui il multiculturalismo conosce realizzazione nonché quello dei limiti a cui soggiace l’innesto delle culture “altre” entro il sistema giuridico nazionale. Simile connessione tra dimensione rappresentativa e rappresentanza è resa, poi, più complessa dal rapporto, giuridicamente determinato, intercorrente tra appartenenza alla comunità politica – mediata, sul piano nazionale, da una concezione “etnica” di cittadinanza, che privilegia i legami di sangue – e rappresentanza politica, che delimita la cerchia dei cittadini a coloro che condividano una comunanza etnico-culturale. Accanto a una prima ragione di ordine “fattuale” che guarda alla connessione tra la composizione del rappresentato e quella, in qualche misura speculare, dell’assemblea elettiva, vi è però una seconda ragione che sottende al legame tra la nozione di multiculturalismo e l’istituto della rappresentanza politica. In accordo con quegli studi che pongono l’accento sui benefici di politiche “multiculturali” nella direzione della preservazione dell’unità politica e istituzionale dello Stato, si intende in questa sede fare riferimento alla ritenuta capacità dell’istituto della rappresentanza politica a favorire l’integrazione tra i gruppi; detto altrimenti, a governare la diversità etnico-culturale.  L’accesso agli organi decisionali e, più in generale, la partecipazione alla vita pubblica possono, infatti, concorrere insieme a strategie di tipo antidiscriminatorio, al contenimento e alla mitigazione della conflittualità endo-societaria, valorizzando la sede parlamentare quale luogo di sintesi e di composizione dei contrasti. Si sostiene, così, guardando alla dialettica rappresentato/organo rappresentativo, che una volta “[p]erduta la pretesa di rappresentare nella sua interezza una società troppo complessa, la rappresentanza p[ossa] almeno servire a darle una forma politica”; e, ancora, che la c.d. crisi del rappresentato, ricollegabile anche all’inarrestabile evoluzione che interessa la sua composizione sotto il profilo etnico, finisce con il “rafforza[re] – paradossalmente – la necessità della rappresentanza, poiché, nello sfaldamento del rappresentato, la sede parlamentare diventa il luogo in cui si tenta, in qualche modo, di ridurre ad unità i dispersi brandelli di un pluralismo troppo disarticolato”… (segue)



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