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FOCUS - Democrazia diretta vs democrazia rappresentativa N. 1 - 02/10/2017

 La 'democrazia elettorale', tra rappresentatività e governabilità

Come noto, democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono due diversi modelli di attuazione del principio democratico che si sono succeduti nel corso del tempo, a volte anche intrecciandosi a vicenda. Tuttavia, soprattutto a partire dall’affermazione dei principi del costituzionalismo liberale e in modo ancora più evidente nell’ambito degli ordinamenti liberaldemocratici contemporanei, la necessità di governare società sempre più complesse e sfaccettate ha reso inevitabilmente più articolati gli strumenti di manifestazione della volontà popolare, incardinati nello schema della rappresentanza politica. Di fronte all’attuale crisi della rappresentanza politica e del connesso ruolo dei partiti, tuttavia, sembra però riemergere con forza la democrazia diretta e la sua principale forma di manifestazione: il referendum popolare. Ad esso, infatti (e non solo in Italia) si tenta di affidare sempre più spesso decisioni che attengono al cuore dell’indirizzo politico nazionale e che non riescono a trovare adeguata sintesi nell’ambito delle Assemblee rappresentative. Tale tendenza, poi, si manifesta non solo nell’ambito delle dinamiche interne ai singoli ordinamenti, con particolare riferimento ai rapporti centro-periferia (si pensi solamente ai recenti, seppur diversi, casi della Catalogna e della Scozia), ma assume sempre più importanza anche sul piano delle sue ricadute in ambito internazionale, con particolare riferimento ai rapporti nell’ambito dell’UE (si pensi al caso della Grecia, ma anche alla c.d. Brexit del Regno Unito). Senza poter qui riprendere i termini di un dibattito così ricco e complesso, sembra però potersi affermare che tra democrazia rappresentativa e istituti di democrazia diretta non sia rinvenibile una sorte di genetico e quasi insuperabile contrasto, dal momento che entrambi, nella formazione dell’indirizzo politico di una società pluralistica, concorrono ad alimentare il circuito democratico-rappresentativo. Anche nell’ordinamento italiano, chiaramente ispirato ai canoni della democrazia rappresentativa, i diversi strumenti di partecipazione politica (diretta e non) sembrano alimentarsi a vicenda, senza che gli uni prevalgano automaticamente sugli altri.  In base all’art. 1 Cost., infatti, la sovranità spetta certamente al popolo, ma i concreti strumenti del suo esercizio sono previsti, disciplinati, e quindi limitati, in Costituzione. Essi, tutti insieme, contribuiscono a formare la nostra democrazia pluralista, facendo in questo senso venir meno il problema teorico se una manifestazione di sovranità possa, giuridicamente, essere ritenuta di per sé comunque preponderante sull’altra, a causa della sua generalità e non eccezionalità o a causa del suo eventuale surplus di legittimazione. L’esperienza italiana, come noto, appare particolarmente significativa in questo senso, dal momento che l’utilizzo dello strumento referendario è stato più volte diretto ad incidere sulla legge politica per eccellenza all’interno di una democrazia rappresentativa: la legge elettorale. Nel silenzio del Costituente sul punto, la materia elettorale è stata lasciata alla piena discrezionalità del legislatore il quale, anche alla luce dell’evoluzione del sistema politico e partitico, ci ha consegnato diversi sistemi elettorali nazionali nel corso degli oltre 70 anni di vita repubblicana, in molti casi adottati dal Parlamento sulla scia (o sulla spinta) di specifiche iniziative referendarie. Ma quale deve essere il fine di un sistema elettorale nell’ambito di una moderna democrazia politica? Rappresentare la volontà degli elettori (rappresentatività) o favorire la possibilità di assumere le connesse decisioni politiche (governabilità)? Su questo, come noto, la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale offre più di uno spunto di riflessione... (segue)



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