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I mutamenti sociali, economici e politici ai quali è dato assistere negli ultimi decenni mettono, come noto, in ‘discussione’ intere categorie giuridiche proprie dello Stato e del diritto costituzionale. Fenomeni esogeni (sovranazionali e internazionali) ed endogeni (infrastatali) rispetto agli ordinamenti nazionali – specie nell’area europea e atlantica – stanno mettendo sempre più a ‘dura prova’ gli elementi tradizionalmente riconosciuti come costitutivi dello Stato: sovranità, territorio e popolo. Rispetto agli ultimi due elementi citati – territorio e popolo – è dato peraltro constatare un moto contraddittorio che li caratterizza, sino a pervaderne la sostanza, tanto che viene da interrogarsi se si stia realmente assistendo a una loro profonda e irrimediabile crisi – come dottrina più pessimista e in qualche modo disfattista pare pensare – o, piuttosto, non si possa intravedere e ricercare un loro possibile e necessario ‘mutamento di senso’. Si intende infatti sostenere che territorio e cittadinanza, da odierni fattori di tensione, possano in realtà assurgere a elementi di risoluzione e di ricomposizione di ordinamenti statali che appaiono sempre più ‘scomposti’, qualora peraltro vengano interpretati alla luce di un rinnovato federalismo dei valori. Quanto al territorio, esso è elemento materiale, organizzabile artificialmente e oggetto della potestà del potere sovrano: mero spazio e campo di vigenza delle norme statali. Secondo la teoria normativistica di Hans Kelsen, il territorio non è infatti altro che un elemento del contenuto normativo dello Stato, indicazione artificiale e arbitraria, che si modifica con il mutare delle norme e della volontà legislativa. Il territorio, così concepito, serve dunque prevalentemente, se non solamente, a circoscrivere la sovranità statale. «Territorio» – sottolineava anche Tomaso Perassi – «è la denominazione tecnica di codesto ambito. Territorio non significa estensione di terra: ma ambito di signoria» ed è particolarmente allusivo che quest’ultimo negasse la derivazione etimologica di territorium da terra, per ricollegarlo, invece, a terreo e territo. L’elemento territoriale si configurerebbe infatti in forma liscia, geometrica, chiusa, inanimata; una concezione in sé ‘muta’ e ‘amorfa’, che si riflette inevitabilmente, in negativo, sull’elemento personale che su di esso insiste, assoggettandolo, tramite appunto un sentimento di ‘terrore’, al dominio del sovrano... (segue)
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