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FOCUS - Democrazia diretta vs democrazia rappresentativa N. 1 - 02/10/2017

 Chi dirige la democrazia diretta? Leviathan e Behemot, il monstrum bifronte della sovranità

Il binomio “democrazia rappresentativa – democrazia diretta” è tra i più classici nel diritto costituzionale e nella scienza della politica, e anche tra i più densi di conflittualità sia nelle varie forme dottrinali che se ne occupano sul piano teorico, sia nella concretezza degli eventi. Se si spinge lo sguardo all’interno dell’affollato scenario delle forme di democrazia diretta che si stanno concretizzando nell’attuale epoca costituzionale che vede molti Paesi realizzare forme accettabili di democrazia, o avvicinarsi ad esse, o tradirle spudoratamente, è immancabile che il costituzionalista si imbatta in un considerevole affastellamento di episodi partecipativi di diversa natura e matrice che meritano la sua attenta considerazione. Il più appariscente esercizio delle prerogative della democrazia partecipativa si concretizza nel referendum, se non altro perché negli Stati che ambiscono a essere considerati democratici, compresi quelli in cui la democrazia è tutt’altro che realizzata, si rende possibile l’osservazione di uno sciame referendario dalle innumerevoli implicazioni rivelatrici di quella natura del rapporto tra cittadino e istituzioni in cui si configura l’eterno enigma del costituzionalista. Insufficiente è, in argomento, il mero approccio della tecnica giuspubblicistica: trattando di democrazia diretta, la lettura giuridica degli eventi costituzionali deve avvalersi delle categorie interpretative della scienza della politica (qualcosa di simile avviene nel campo del diritto internazionale che oggi può risultare ben poco comprensibile se si trascura o ignora l’approccio geopolitico). Per delineare il quadro di riconoscimento e, possibilmente, di comprensione delle modalità in cui la democrazia diretta sta ricoprendo un ruolo pervasivo nel quadro della decisione pubblica in Europa e altrove, è consigliabile che il cultore del diritto costituzionale accetti di prendere metodologicamente in prestito, e forse anche appropriarsene laddove intuisca qualche limite del nudo dato giuridico, gli strumenti che all’analisi giuspubblicistica sono offerti dalla  politologia  che meglio sa avvalersi dell’analisi comparativa e con essa si occupa in particolare della forma referendaria. Questo discorso vale sia per il referendum, che nelle democrazie rappresenta il vertice del poderoso iceberg partecipativo, sia per le altre forme come, per esempio, l’iniziativa popolare che si prefigge scopi propositivi o direttamente deliberativi.  Laddove la partecipazione diretta dei cittadini agli affari pubblici si concretizza in iniziative extra ordinem che siano di carattere legislativo (come nel caso di proposte di legge che inciderebbero negativamente su garanzie fondamentali consacrate dall’ordinamento democratico, come si può ravvisare in talune iniziative popolari avviate nell’Italia repubblicana) o deliberativo, o in votazioni referendarie che mettono in discussione l’integrità dello Stato (come nel caso dei  referendum che si propongono obiettivi separatisti), possono tornare molto utili perfino le chiavi di lettura che sono proprie dell’analisi antropologica. Qui l’attenzione del costituzionalista può utilmente concentrarsi sui particolari quadri identitari e sui blocchi ideologici che sovrintendono ai costumi collettivi, e in definitiva sui tribalismi linguistico-culturali o talvolta anche etnici che nella democrazia diretta possono trovare efficaci espressioni e ampia visibilità anche sul piano internazionale. Lo studio dei nazionalismi e dei movimenti politici variamente intrisi di populismo che di solito rappresentano l’opzione separatista offre importanti spunti in tale direzione; ma del resto una riflessione che fissi le coordinate di un’antropologia culturale del sovranismo torna utile per saggiare la natura di molti referendum tra quelli che attualmente occupano le cronache di molti Paesi europei.  Di queste letture che si alimentano della categorie della conoscenza che sono proprie di altre branche delle scienze sociali, nella misura in cui consentono di osservare da vicino la natura dei pluralismi che articolano la politica interna agli Stati e degli sviluppi extracostituzionali che questi possono produrre attraverso campagne di mobilitazione che esplicitamente fanno perno sulla democrazia diretta e si propongono di farne impiego per realizzare  obiettivi specifici, anche il giurista può ed anzi deve giovarsi per approfondire la propria comprensione di talune eclatanti esperienze partecipative e delle patologie politiche o delle aporie costituzionali che possono rivelare... (segue) 



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