
L’icastica semplicità dell'art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile del 1942 fa parte dei ricordi di operatori giuridici - professori, avvocati, giudici, funzionari - di un tempo che fu; alla domanda su quali siano oggi le fonti del diritto nessuno risponderebbe più: le leggi, i regolamenti (le norme corporative), gli usi. Ma anche la capacità sistematica, descrittiva e prescrittiva, del ben più recente art. 17 della legge n. 400 del 1988 è ormai un ricordo lontano. Le prime lezioni dei corsi di diritto costituzionale sono rivolte a rappresentare agli studenti la grande complessità del sistema delle fonti e la enorme difficoltà di ricostruire tale complessità in un sistema coerente. In questo quadro pieno di incoerenze e difficoltà interpretative e ricostruttive, forse la fonte che ha maggiormente subìto fenomeni di accerchiamento e di perdita di significato non è tanto quella legislativa, che ancora - e nonostante tutto - conserva i tradizionali aspetti di una forza (intesa come capacità di innovare e di resistere all'innovazione) e di un valore (inteso come trattamento dell'atto da parte dell'ordinamento) tipici, e in cui è comunque immanente la provenienza dal più alto luogo della rappresentanza politica. La crisi si è in realtà abbattuta proprio sulla fonte degli atti normativi secondari di provenienza governativa, quella categoria definita con il nome generico di regolamenti, i cui spazi di utilizzo si sono drasticamente ridimensionati, in ragione dell’aggressione che questa fonte ha dovuto sopportare da ogni possibile lato: dall’alto, di fianco, dal basso... (segue)
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