Il saggio prende le mosse dal seminario milanese su “i diritti sociali tra ordinamento statale e ordinamento europeo" (marzo 2018) che fa seguito ad alcune ricerche precedenti sulle tendenze di sviluppo delle garanzie dei diritti sociali. La prima indagava sulle prospettive di un’adesione dell’Unione europea alla Carta sociale europea (CSE) a conclusione del processo di Torino aperto nell’ottobre del 2014 con il quale si intendeva sviluppare questo strumento di fronte alle nuove crisi multipli europee. La seconda ricerca, di taglio più comparatistica, era una relazione a una conferenza indo-tedesca alla National Law University di New Delhi che cercava di confrontare i diritti sociali tra Unione europea ed Unione indiana e proponeva come risposta alla domanda quale fosse la componente sociale della cd. economia di mercato sociale dell’UE la solidarietà e la pazienza dei diritti sociali umani, doveri rimossi dallo spirito dei tempi (2016). La terza infine ha tentato la difesa di un minimo di ottimismo argomentativo, sostenendo in un convegno a Catanzaro, organizzato da Massimo La Torre e aperto dall’allora ministro degli esteri che anche alla luce delle nuove teorie critiche dei diritti e dei lavori per il nuovo pilastro dei diritti sociali dell’UE, “i diritti umani sociali non sono insostenibili nell’Unione” (16-17 giugno 2017). In seguito sono intervenute alcune novità a livello globale anche nel G7 sotto la presidenza italiana (2.), a livello europeo con il social summit di Goeteborg (3) che aumentano la pressione sull’Italia di adottare delle riforme sociali strutturali per non restare tra i paesi europei meno virtuosi nella tutela dei diritti sociali (4). In questo contesto sono intervenute a livello nazionale anche le elezioni e la formazione di nuovi governi in paesi come la Francia (France en marche), la Germania (CDU/CSU/SPD) e l’Italia (M5S/Lega), considerati più o meno influenti, se non egemoni sulla determinazione degli indirizzi politici a livello europeo (5). Essendo i diritti sociali tradizionalmente associati sia a norme sugli obiettivi dello “Stato sociale” sia a politiche sociali multilevel, occorre peraltro sempre ben distinguere e non confondere il lato giuridico da quello politico, i vari livelli di azione politica, le competenze delle varie amministrazioni e le autonomie delle istituzioni sociali, culturali ed economiche ad essi funzionali. Anche normativamente occorre distinguere i diritti sociali a seconda delle fonti delle loro dichiarazioni e garanzie azionabili, in particolare fonti costituzionali (diritti sociali costituzionali) da o fonti internazionali universali (diritti sociali umani) e fonti sovranazionali dell’UE (diritti sociali fondamentali europei), da diritti sociali dichiarati e azionabili solo in virtù di fonti legislative o secondarie (diritti sociali comuni e interessi legittimi accessori), da tutelarsi davanti a giurisdizioni ordinarie o amministrative. I “diritti sociali fondamentali” tout court, sono invece garantiti da fonti di una pluralità di ordinamenti, cioè internazionali/sovranazionali e costituzionali, o, come negli Stati Uniti, federali e statuali. Le norme giuridiche relative ai diritti sociali oggi non possono più essere ritenute (presuntivamente) solo programmatiche e non azionabili, ma nonostante la promessa di indivisibilità dei diritti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, possono tuttora avere forme di tutela più deboli in ambito internazionale e costituzionale conseguenti alla loro particolare complessità. Infatti, possono essere distinti dalle altre categorie di diritti fondamentali più per il loro oggetto che consiste principalmente in aspettative e pretese positive di azioni (status positivus) anziché, come nei diritti di libertà, in pretese negative di omissioni (status negativus) o, come nei diritti di partecipazione, in aspettative e pretese di condizionare decisioni pubbliche (status activus politicus, processualis vel administrationis). L’obbligo di realizzare e proteggere prestazioni di beni e servizi pretesi dai diritti sociali è in genere condizionato da un mandato di legislazione e di allocazione di risorse finanziarie, con un principio di graduale sviluppo delle prestazioni nel tempo e con un divieto generale di irragionevole regressione. Questi obblighi di prestazione e protezione ricadono non solo sullo Stato e su enti pubblici sub- e sovranazionali da individuarsi secondo il principio di sussidiarietà, ma possono incombere anche a soggetti privati, ad es. a datori di lavoro nel caso dei diritti dei lavoratori, di membri di famiglia nel caso dei diritti all’alimentazione ed educazione, dei proprietari di terreni e case e di tutti i consociati, specialmente in casi di necessità di soccorso o di prevenzione di emergenze. I diritti sociali fondamentali sono un’acquisizione particolare caratteristica, ma non esclusiva della cultura giuridica e politica europea. Fanno parte di questa cultura e sono investiti delle sue crisi soprattutto i poteri intermediari dello stato costituzionale pluralista, cioè i partiti, i sindacati, le chiese e i media, inclusi quelli sedicenti “social”. L’analisi costituzionale deve cercare un loro ordine equilibrato senza poter produrre profezie ed evitando esasperazioni tanto dell’ottimismo e idealismo dei diritti dorati che promettono felicità (post)socialista, quanto del pessimismo e realismo dei poteri grigi che riescono a opporre veti neoliberali ed indebolirli, perfino violarli senza sanzioni. Nel momento attuale, le speranze di un rafforzamento e i timori di un impoverimento dei diritti sociali alimentano incertezze ed insicurezze… (segue)
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