È un tema, al tempo stesso, suggestivo e controverso quello che mi è stato chiesto di affrontare, se non altro perché l’istruzione e il suo diritto sono una parte più o meno lunga e più o meno intensa dell’esperienza di ciascuno di noi. Rispetto alla scuola vale, dunque, in una duplice prospettiva l’ammonimento oraziano “mutato il nome, la favola è fatta per te”: personale, per la ragione poc’anzi detta, e generale, per il rilievo paradigmatico che il diritto all’istruzione, come nella sua configurazione costituzionale e così nell’attuazione legislativa e nell’applicazione giurisprudenziale che ne sono conseguite, assume nell’Italia del tempo presente. Non ho fatto volutamente riferimento, in queste mie battute inziali, all’Unione europea, perché considero doveroso, in proposito, svolgere una precisazione preliminare. Ritengo infatti che il medesimo oggetto – il diritto all’istruzione, per l’appunto – risponda a logiche divergenti e, in qualche misura, anche dissonanti nell’ordinamento statale e nell’ordinamento sovranazionale, tanto che i principali enunciati di riferimento (rispettivamente, l’art. 34 Cost. e l’art. 14 CDFUE) sono topograficamente collocati l’uno in un titolo relativo ai “rapporti etico-sociali” e l’altro in un capo intestato alla “libertà”. Ciò si riverbera inevitabilmente sui contenuti propri delle due disposizioni considerate. Per un verso, l’art. 34 Cost. si apre con una solenne affermazione di principio, “la scuola è aperta a tutti” (co. 1); si sviluppa attraverso tre distinti diritti sociali, ovverosia il diritto ad una scuola aperta (co. 1), il diritto alla gratuità dell’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni (co. 2), e il diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi (co. 3); giunge financo ad esplicitare gli strumenti attraverso i quali rendere effettivo l’ultimo dei diritti costituzionali summenzionati (co. 4). Per un altro verso, l’art. 14 CDFUE evoca il diritto all’istruzione in tandem con l’“accesso alla formazione professionale e continua” (§ 1); qualifica l’accesso gratuito all’istruzione obbligatoria come una “facoltà” (§ 2); menziona un duplice profilo de libertate, cioè la libertà di creare istituti di insegnamento e il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche (§ 3). Si tratta, a ben vedere, di due grammatiche normative difficilmente sovrapponibili o anche solo raffrontabili, in ragione sia della diversità di contenuto riscontrabile, rispettivamente, nell’art. 34 Cost. e nell’art. 14 CDFUE, sia del più o meno intenso grado di efficacia dei singoli enunciati normativi che vi si possono enucleare e, conseguentemente, dell’attitudine di ciascuno di essi a fungere da parametro nei confronti della legislazione derivata. I due profili della questione, per la loro rilevanza, richiedono quale considerazione ulteriore. In primo luogo, a un raffronto anche sommario con la Carta repubblicana del 1947 spicca nel diritto dell’Unione europea la mancata considerazione dell’istruzione quale materia autonomamente concepita e configurata. Essa, infatti, compare all’art. 6, lett. e), TFUE, unitamente a “formazione professionale, gioventù e sport”, come un ambito nel quale “l’Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri”. Si tratta dei medesimi oggetti che campeggiano nel titolo XII della parte III del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’interno del quale l’art. 165 TFUE, a proposito dell’istruzione, prevede la possibilità per l’ordinamento sovranazionale di adottare “azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”, e “raccomandazioni” (165, § 4, TFUE). Si è di fronte, com’è facile avvedersi, ad una disciplina scarna e vaga, nonché soprattutto – e sono così giunto al secondo aspetto del problema – priva di forza giuridica autonoma e di portata sistematica, che si suole comunemente ascrivere alla formula del metodo aperto di coordinamento. Così, compulsando i motori di ricerca della Corte di giustizia dell’Unione europea, ci si avvede – invero senza sorpresa particolare – che l’art. 14 CDFUE viene richiamato solamente in un’ordinanza (CGUE, C-590/15 P, ord. 10 novembre 2016, Brouillard/Corte di giustizia dell’Unione europea) e in una sentenza (CGUE, C-523/12, sent. 12 dicembre 2013, Dirextra Alta Formazione), nelle quali, tuttavia, non si rinviene alcuno sviluppo argomentativo di rilievo in merito al tema qui affrontato. Se pure si allarga lo sguardo ai Trattati, si ritrova l’assunto fondamentale per cui, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, “gli Stati membri sono competenti, ai sensi dell’articolo 165, paragrafo 1, TFUE, a stabilire i contenuti dell’insegnamento e l’organizzazione dei rispettivi sistemi educativi”, ancorché, naturalmente, tali competenze debbano essere esercitate “nel rispetto del diritto dell’Unione e, segnatamente, delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri, quale riconosciuta dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE a qualsiasi cittadino dell’Unione” (CGUE, C-359/13, sent. 28 febbraio 2015, Martens)… (segue)
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