L’occasione che ci ha portato a discutere del riparto di competenze tra Tribunale e Corte di giustizia dell’Unione europea è costituita dalle proposte di modifica allo Statuto, delle quali la principale mi sembra essere – e certamente è, per quanto riguarda il contenzioso che impegna l’Avvocatura dello Stato – quella che attribuisce di regola al Tribunale i giudizi sui comportamenti degli Stati membri, ossia i giudizi di infrazione promossi dalla Commissione europea dall’art. 258 TFUE e quelli, molto meno numerosi, promossi degli Stati membri contro altri Stati ai sensi del successivo art. 259. Mi sono allora interrogato – prima ancora di leggere la relazione illustrativa alla proposta di modifica, redatta dalla Corte stessa – sulle possibili ragioni della proposta di modifica. E, al riguardo, mi è sembrato subito necessario dover sgombrare il campo dall’idea che lo scopo della modifica sia, per così dire, organizzativo: ispirato, cioè, dall’idea di stabilire un migliore riparto quantitativo del carico tra i due uffici giudiziari che compongono la Corte. In effetti, compulsando la relazione sull’attività giudiziaria della Corte nel 2017, si apprende che i ricorsi per infrazione promossi nell’anno sono stati 41. Vi sono, poi, 3 ricorsi ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE – i cc.dd. «recours en double manquement» – che però, come sappiamo, rimarrebbero di competenza esclusiva della Corte. Considerato che le nuove cause incardinate, sempre nel 2017, dinnanzi alla Corte sono state 739, stiamo parlando di un contenzioso che riguarda solo il 5,5% circa del ruolo complessivo della Corte. Questo carico si ridurrebbe, peraltro, solo in parte, perché la Corte rimarrebbe destinataria, anche nel caso delle procedure di infrazione, degli appelli contro le sentenze del Tribunale. E, per altro verso, risulterebbe aumentato, sia pure in misura lieve, dalla competenza in unico grado che verrebbe attribuita alla Corte, dal nuovo art. 51, par. 1, lett. c), dello Statuto, rispetto a quelli che io chiamerei incidenti di esecuzione, ossia rispetto alle impugnazioni delle decisioni della Commissione che intervengono nella fase di esecuzione delle sentenze c.d. di condanna della Corte: si pensi, ad esempio, alle decisioni che liquidano e applicano, periodicamente, le penalità di mora a carico di uno Stato membro stabilita da una sentenza della Corte emessa ai sensi dell’art. 260, par. 3, TFUE. Noi stessi abbiamo a volte proposto ricorsi di questo tipo – ad esempio impugnando le decisioni della Commissione che hanno applicato le penalità semestrali di mora per mancato recupero degli aiuti di Stato concessi rispetto ai contratti di formazione e lavoro – e, ad oggi, la competenza su tali ricorsi apparteneva, evidentemente, al Tribunale, mentre con la riforma questi ricorsi andranno proposti direttamente alla Corte. D’altra parte il Tribunale, dinnanzi al quale nel 2017 sono state introdotte 917 nuove cause, vedrebbe aumentare, attraverso il trasferimento ad esso di una quarantina di cause di infrazione, il proprio contenzioso nella misura del solo 4,4% circa. L’operazione ha, pertanto, una portata estremamente limitata sui numeri del contenzioso e questo credo debba portare a ritenere che il suo scopo non sia affatto quello di riequilibrare il carico di lavoro tra i due uffici, con l’intento di utilizzare al meglio il recente aumento del numero dei giudici del Tribunale. Credo invece che la ratio effettiva dell’intervento – che, in effetti, poi si ritrova in alcuni passaggi della relazione introduttiva – sia, quanto meno nell’intenzione dei proponenti, quella di pervenire a un riparto di competenze che sia coerente con l’evoluzione che ha avuto la Corte nel corso del tempo… (segue)
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